Ci sono gli User Generated Content, di cui a lungo si è discusso e su cui sono stati versati mega e mega di bit. Sono quelli che le aziende sperano e temono insieme che i loro clienti dedichino loro. Sono quelli che altre aziende cercano di monetizzare, con risultati alterni. Sono quelli della cui utilità altre aziende ancora, di consulenza e di servizi, cercano di convincere i loro clienti, spesso riluttanti. Sono quelli dei blog, di You Tube, di MySpace, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, sono quelli che produciamo noi, e che ci hanno fatto eleggere Person of the Year dal Time. Giusto? Sbagliato? (l’elezione, intendo). Ai posteri l’ardua sentenza. Io un’idea ce l’ho, ma non sarebbe molto popolare, per cui per ora sospendo il giudizio (ho detto che è un’idea, non un giudizio, infatti).
E poi ci sono i Christmas Generated Content. Che sono contenuti scritti sì da qualcuno, ma molto, molto più virali di ogni altro tipo di contenuto esistente al mondo. Perché questi vivono da soli, si direbbe che si autoproducono e che semplicemente si danno in pasto al mondo per una specie di immacolata concezione collettiva, e che poi si distribuiscano uniformemente su tutto: carta stampata, TV, radio, Web, e via divulgando. Fin dai primi di novembre.
Ce ne sono di diversi tipi:
1) I CGC tradizionali: palline, abeti e babbinatali in salsa di luccichini e stelline. Il messaggio è piano, lineare e va dal Buone Feste da vetrofania del panettiere sotto casa al più ricercato “Season’s Greetings” delle griffe patinate (come se “auguri di stagione” avesse il benché minimo senso…), su cartoncino nero o argento o oro (riservato, fra questi, a chi può fare una piccola concessione al sopra-le-righe senza timore di venire preso per cafone).
2) I CGC multimedial-pacchiani: ecards, video, animazioni in flash. Riservati, sia per la produzione materiale (abbiamo detto che i CGC per definizione si fanno da soli) che per la fruizione, alla fascia d’età che può fruirne adeguatamente, quindi più o meno dai 7-8 anni ai 60. L’armamentario della tradizione viene in questi contenuti preso e trattato con una disinvoltura a volte blasfema. Alberi di Natale che perdono le palle, renne ubriache, cori natalizi interpretati da bande di alpini metropolitani. L’anno scorso c’era un trend molto forte, quello dei Babbi Natale cattivissimi; quest’anno ognuno ha fatto come ha potuto, ma da qualche giorno girano catene di Sant’Antonio via SMS che potrebbero rientrare in questo filone.
3) I CGC educati: cartoncini di accompagnamento ad agende di banche e assicurazioni, email aziendali in cui si fa finta di avere a cuore le famiglie dei dipendenti, “codini” alle telefonate a clienti e fornitori. Sono contenuti minimalisti, questi, praticamente di servizio, una specie di parenti poveri dei CGC tradizionali.
4) I CGC esistenziali: scritti, possono essere anche molto lunghi, e in generale il Natale ne è solo il pretesto, trattandosi per lo più di mantra augurali che possono andare bene per qualunque momento della vita. Infatti uno se li può conservare e, quando deve fare gli auguri per qualcosa (nascita di un figlio, laurea, cambiamento di lavoro, anniversario, ecc. ecc.), semplicemente li ricicla, esattamente come fa con i regali. Alcuni sono bellissimi, altri un po’ borderline rispetto al margine inferiore, i bigliettini dei Baci Perugina. Quasi sempre sono citazioni, spesso dal famoso Anonimo.
5) I CGC rumore-di-fondo: sono i discorsi. I più comuni: “odio il Natale, le feste mi deprimono” (certo, e allora che cavolo ci fai al veglione di Capodanno al Casinò?), “non ho fatto ancora neanche un regalo” (non è vero, ma così te la puoi svignare un’ora prima dal lavoro), “vorrei chiudermi in casa il 23 dicembre e uscire il 7 gennaio” (e perché non lo fai? Qualcuno sentirebbe la tua mancanza?), “inutile iniziare una dieta ora, dopo le feste se ne parla” (finalmente una cosa sensata!), “ogni anno una strage di abeti per cosa?” (nessuno considera la quantità di carta sprecata per difendere i diritti degli abeti?) e via discorrendo. Sono spesso fastidiosi, ma non se ne può fare a meno, e non è colpa di nessuno: loro si generano da soli!
6) I CGC cinematografici: la valanga di film a tema che si spande su cinema e TV in questo periodo. A parte le vanzin-parentate della serie Natale-di-qua e Natale-di-là, in questo periodo in TV è tutto un Miracolo sulla 42° strada, tutto un Times Square in bella copia con la neve, e pattini a Central Park, e renne che volano e bambini che a Babbo Natale non ci credono ma poi si redimono, e cartoni (animati) come se piovesse.
7) I CGC gastronomici: come non considerarli! E giù ricette di panettoni e pandori orrendamente squartati e ripieni dell’impossibile, di improbabili stoccafissi della tradizione, di anguille e capitoni fritti, pastellati, incatramati, truccati. Spesso su base regionale, questi contenuti sono il teorema a cui fanno da corollario le ospitate degli chef su tutti i media. Che ti insegnano a cucinare il gamberetto su un letto di lattughina in purea con mirtilli freschi e salsa di cipolline allo chardonnay. Uno, ho detto UN gamberetto per piatto.
8) I CGC design-oriented: ovvero la-casa-delle-feste. Appannaggio della carta stampata, l’how-to più scintillante dell’anno. Anche questo è un teorema, il suo corollario sono gli allestimenti ad hoc dell’Ikea.
Ecco, tutte queste cose non siamo noi che le produciamo. Tutte queste cose esistono e basta, si impadroniscono di noi e ci fanno strumento della loro diffusione, una volta l’anno. Ma, diciamoci la verità, in fondo sono tutti belli, questi contenuti. E non è vero che Natale è la festa dei bambini, perché Natale, per fortuna, è di tutti, e ci commuove sempre un po’. E chi dice il contrario, spesso più che uno snob è uno Scrooge. Con tutto quello che ne consegue.
P.S.: Naturalmente, anche questo post è un CGC. Ma per gli auguri voglio aspettare l’ultimo momento.
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