giovedì, marzo 08, 2007

Ci vuole un fisico bestiale

Leggo solo oggi un post della Coniglia, che si lamenta per come i “bambini di oggi” siano viziati e maleducati. Ci sono troppe considerazioni da fare, troppe cose da dire, e così ho deciso di non commentare e di riprendere a mia volta l’argomento (che ovviamente mi coinvolge direttamente), anche se preferisco soffermarmi sui “genitori di oggi”, dal momento che tutto nasce da lì.

Sono stata una single spietata: non ho mai amato particolarmente i bambini, e se devo essere sincera tuttora ho delle difficoltà ad accettare gli inviti alle feste di compleanno degli amichetti di Gabriele. Per fortuna le feste sono sempre alle 4 del pomeriggio, orario in cui ho sempre un alibi di ferro. Gabriele ci va lo stesso, ma con la tata (che ha una vita sociale assai più vivace della mia, proprio in conseguenza di queste sue frequentazioni parascolastiche).

Poi, quando è arrivato Gabriele, di colpo mi sono trovata ad essere io l’educatrice. E, dall’altra parte della barricata, le ho vissute tutte: l’innamoramento, la solitudine (non credo di essere la sola: se passi da 14 ore di lavoro al giorno in un mondo di adulti a 24 ore al giorno con un bimbo, dopo un po’ fai fatica anche a parlare italiano), la depressione; e poi il ritorno al lavoro e il senso di colpa, la consapevolezza di stare delegando un momento prezioso della sua e della mia vita a degli estranei, la felicità della sera e l’intimità di quando lo porto a letto e cantiamo insieme la ninnananna; e poi la stanchezza, quella stanchezza che mi porta a dire, in una di quelle giornate in cui il lavoro sembra non finire mai, che la parte più pesante deve ancora arrivare, e allora tanto vale godersi l’ufficio, che in confronto è così rilassante. E poi c’è la questione dell’intimità della casa: se hai un figlio e lavori, te la puoi scordare. Perchè mentre tu sei lì che ti sbatti per un cliente, a casa c’è la baby sitter, che dopo un po’ conosce ogni anfratto, che sa meglio di te che cosa manca nella dispensa, che deduce le tue abitudini e in base a quelle ti giudica, e che se fai tardi troppo spesso ti molla (oppure non lo fa, ma dietro lauta ricompensa).

Me lo vedo già, l’anonimo di turno, che si indigna e commenta: “Voi mamme di oggi pensate solo a voi stesse, dov’è il bambino in tutto questo discorso?”.
Così come ho visto il pediatra che venne a visitare mio figlio di otto mesi con la gastroenterite e che, con grande delicatezza, mentre si intascava gli 80 euro della visita, mi elargì una pillola di saggezza degna di miglior causa: “I bambini così piccoli non devono andare all’asilo, devono stare a casa, magari con la mamma”. A lui ho chiesto se fosse disponibile a tenermelo lui, il bambino, o, magari, se potesse darmi lui lo stipendio che perdevo per stare in casa. All’anonimo chiedo il suo numero di telefono, così lo metto in viva voce e si rende di conto di dove sia il bambino.

Il fatto è che siamo una generazione di passaggio. Quelli di noi che sono cresciuti con la mamma in casa hanno un’idea di madre che non si discosta da quella che hanno avuto, con tutto quello che ciò comporta, prima di tutto il senso di inadeguatezza verso una responsabilità così grande. Seguito dal senso di inadeguatezza verso un amore così grande. Perchè è ovvio che non saranno mai all’altezza. Mica per immaturità emotiva (magari per qualcuno sì, ma certamente non per tutti), e neanche perchè prede di sindrome da utopia (quando ci si pongono obiettivi irrangiungibili, condannandosi ad essere perennemente frustrati), ma semplicemente perchè non possono garantire ai figli la presenza di cui loro stessi, a quell’età, hanno goduto. E che non mi salti fuori il signor anonimo con la storia della qualità del tempo: la qualità è inscindibile dalla quantità, quando si tratta di bambini.

Siamo una generazione di passaggio perchè i nostri genitori non avevano sensi di colpa, e non si facevano scrupoli ad imporci le loro regole eventualmente anche ricorrendo ad approcci non proprio improntati alla dolcezza. Mentre noi, diciamoci la verità, ci sentiamo un po’ delle merde se, tornati a casa alle otto di sera, l’unica relazione che riusciamo ad avere con nostro figlio è condotta strillando. Un’ora prima di metterlo a nanna.

Siamo una generazione di passaggio perchè i nostri genitori sono vissuti nel pudore e forse anche nella vergogna per le loro emozioni e i loro sentimenti, e allora noi abbiamo imparato ad esprimere le nostre emozioni e i nostri sentimenti sulla poltrona di un analista, e l’ultima cosa che vorremmo per i nostri figli è lasciar loro un’eredità di anni e anni di sedute alla Woody Allen.

E quindi eccoci: piegati dalle responsabilità, pieni di sensi di colpa, stanchi da morire e lontani anni luce dalla nostra vita precedente, che in molti casi è ancora la vita dei nostri amici; e però finalmente liberi di pronunciare le parole “ti voglio bene”, talmente liberi che non ci stanchiamo mai di farlo, anche quando ci rendiamo conto che attraverso quelle parole i nostri pargoletti ci tengono in scacco.

Ci vuole un fisico bestiale per fare l’educatore. Ma soprattutto ci vuole una lucidità nel rendersi conto di quello che sta succedendo davvero (ad esempio, che stai tirando su un futuro serial killer) che non è affatto banale. E che, attenzione, ai nostri genitori non serviva, perchè, semplicemente, la loro vita era diversa dalla nostra, non più facile o più difficile, solo diversa. Ci si arriva spesso per una questione di sopravvivenza, quando la situazione si fa troppo pesante per andare avanti così. Allora ci si fa una violenza pazzesca, si va contro tutti i propri principi, o forse contro tutte le proprie emozioni, e si cambia registro. Non me la sento, francamente, di condannare i genitori dei bambini “maleducati”. Anche perchè io ancora non so quale sarà il risultato della mia educazione.

12 commenti:

Chiara Trabella ha detto...

In tante cose mi rivedo in pieno: ex single orgogliosa, tuttora malsopporto i bambini. Qualcuno mi dirà: e allora che sei diventata mamma a fare? Rispondo: i figli non rimangono bambini per sempre, e anzi, l'obiettivo dell'educazione è proprio farne delle persone adulte e complete.
Io però ho una grande fortuna: quando torno a casa, non c'è una tata con mia figlia, ma il suo papà. E quindi i sensi di colpa si attenuano, l'intimità della casa non è violata da un'estranea, il tempo che dedico ad Amelia mi sembra meno stretto.
Ciò non toglie che in tanti aspetti dell'educazione di Amelia hanno tanto (troppo?) peso degli estranei, e questo mi pone un sacco di domande a cui cerco faticosamente di rispondere.
Non è più vero che l'educazione dei bambini è data solo dalla famiglia, soprattutto quando sono piccoli: purtroppo, tra tate e asilo, sono 8-10 ore al giorno nelle mani di persone diverse da noi e che non sempre possiamo controllare.
Troppo seria? Un saluto
Chiara

Anonimo ha detto...

Credo che, nonostante l'estrema chiarezza del tuo post, Giuli, la Chiara abbia centrato il problema. E cioè che l'educazione del bambino è talmente fatta da tanti, diversi, estranei o meno (perché dove li mettiamo i nonni "educatori per forza" che molte famiglie prendono per baby sitter e che non dicono mai di no?) che diventa difficilissimo controllare gli stimoli e le informazioni cui sono sottoposti. Sebbene magari noi abbiamo chiaro in testa ciò che desideriamo per loro.
Molto d'accordo che la qualità è inscindibile dalla quantità.
Non so quale sia la ricetta, ma certo l'attenzione deve essere sempre vigile, con un figlio!

lemoni ha detto...

Giuliana...qualora tu dovessi odiare quelle persone che quando ti vedono ti abbracciano di continuo, sappi che qualora ci dovessimo incontrare a Roma ti salterò al collo e lì rimarrò come un Koala...perchè questo post è talmente vero e scritto così bene che ai libri degli esperti glie fa 'na p...pa!Siamo proprio noi, tutto noi, madri e padri.Sono io che quando sono al lavoro mi danno l'anima, quando sono con Michi mi danno l'anima, insomma non riesco mai ad essere spensierata completamente che sfaccimme!
Giuli...grazie per le tue parole...
bacioni alla family intera
Graziella

Giuliana ha detto...

non è necessario rispondere ai vostri commenti separatamente, perchè siamo là. il figlio "nelle mani di estranei" per due terzi della giornata è un nervo scoperto, questo è certo. volevo però far emergere, al di là di questo che è senz'altro un tema fondamentale, anche gli aspetti dell'educazione legati in modo più stretto all'educazione dei genitori. credo che molti genitori, e in particolare molte madri, vivano momenti di disagio molto profondo legati all'arrivo di un figlio: gli equilibri di coppia sono da reinventarsi, i ruoli fanno di colpo un passo indietro di 50 anni, e così via. il problema è che spesso queste cose sono socialmente inaccettabili: una mamma che si lamenta è una stronza, che non merita di essere mamma.
ah, auguri a tutte!!!

Anonimo ha detto...

io non sono mai stata propensa ad attribuire tutte le colpe ai genitori.
Secondo me un genitore che lavora molto da un esempio importante.
I sensi di colpa vengono sia nel caso in cui si lavori, sia in quello in cui si stia a casa tutto il tempo.
E poi oh, non si può che essere se stessi e se la fortuna ci assiste è bene, sennò... sennò...

Giuliana ha detto...

brigida, la fortuna è essenziale :)

sull'esempio riguardo al lavoro, non saprei. gabriele è talmente abituato a sentirci dire che siamo fuori per lavoro, che ogni volta che uno di noi non c'è lui chiede all'altro se è al lavoro. si sarà fatto un'idea del lavoro assai poco piacevole, temo :(

Anonimo ha detto...

Aiuto...ed io sono anche uomo!!! Mi fai venire voglia di metter su famiglia solo quando andrò in pensione...ok, cominico a rimboccarmi le maniche...

Giuliana ha detto...

lorenzo, benvenuto.
non volevo spaventarti, solo che ci sono un sacco di cose che nessuno ti dice prima, proprio perchè ritenute socialmente inaccettabili. ho scoperto di condividere questo tipo di pensieri con altre che sono mamme da prima di me, e solo perchè io ho rotto il ghiaccio. a quel punto loro si sono tolte la maschera da brava-mammina-tutto-zucchero-e-miele e hanno vuotato il sacco. forse se mi avessero risparmiato, prima, tutte le stronzate che mi hanno raccontato, forse, dico, non sarebbe cambiato niente, avrei comunque fatto un bambino. ma con una consapevolezza diversa.
a presto!

Francesca Palmas ha detto...

Giuliana, mi è piaciuto moltissimo il tuo post anche perchè prende da un angolazione diversa ciò che ho detto io e fa vedere 'l'altra faccia della medaglia' se così vogliamo dire.

Io ti dico una cosa, i miei genitori hanno sempre lavorato, anche quando io ero piccina ma nonostante questo immodestamente ti dico che non sono maleducata e che do agli altri il rispetto che si meritano. Io sono una di quei bambini che sono cresciuti in mano a tante persone, asili nido, scuole, tate...Ma i miei genitori non mi hanno mai fatto mancare l'affetto e mi hanno educato per bene...Se i genitori sono coerenti e sanno porre dei limiti i bimbi capiscono cosa possono e cosa no...Anche se non sono 24 ore in loro compagnia.
E scommetto che sei una mamma bravissima :)

Un bacio

Giuliana ha detto...

grazie per la fiducia, coniglia. credo anch'io che non sia necessario passare tutto il tempo con i propri figli, anche perchè in questo modo non gli si permette di crescere rendendosi autonomi.
quanto a ciò che succederà, lo scopriremo solo vivendo :)

ruben ha detto...

Io penso che se, nonostante tutto il tempo che avevano da dedicarci, i nostri genitori sono riusciti ad inculcarci sensi di colpa e quant'altro, forse forse, con le nostre scarse possibilità.... magari ce la caviamo anche meglio noi con i nostri figli!!!

Giuliana ha detto...

non saprei, ruben, a volte un eccesso di consapevolezza non è detto che produce necessariamente risultati migliori, soprattutto perchè porta a pensare di poter controllare veramente tutto. direi che... chi vivrà vedrà