giovedì, febbraio 05, 2009

Figli del copyright

Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni di frequentazione del web sociale – o web 2.0, o social media, chiamatelo come volete – è l’importanza della condivisione. Ovvio? Mica tanto. Mica tanto se non parlo di Faccialibro, dove posso anche decidere di condividere solo le foto dell’ultima festa alcolica alla quale ho partecipato (ehm, io non me la ricordo neanche più, la mia ultima festa alcolica...). Nei contesti professionali, riflettendoci, la condivisione è una bella fatica: significa mettersi in gioco e in discussione, aprirsi alle critiche, modificare le proprie abitudini “protezionistiche”. Non è uno scherzo per le persone, figuriamoci per le aziende.

Caso tipico: quando si propone a un’azienda di entrare nella conversazione online, la prima preoccupazione è che, una volta data agli utenti (aka target) la possibilità di parlare tra di loro, prima o poi qualcuno dirà peste e corna di Sua Maestà Il Prodotto. Fa parte del gioco. Ops! Questo non è previsto dalle procedure. Qui si apre un discorso inesauribile. Chi fa questo mestiere sa che, sì, prima o poi qualcuno salterà fuori, a parlar male, e magari saranno anche tanti, ma se l’azienda saprà rispondere adeguatamente – ammettendo quello che non va o rispondendo alle critiche con motivazioni sensate – il risultato non potrà che essere positivo. (Ho tagliato con l’accetta, ma questo argomento merita altri spazi di approfondimento).

Quello che invece raramente le aziende si/ci chiedono, è: “ma noi, che cosa abbiamo da dire?”. E non lo chiedono perché la risposta è scontata: niente. Allora tu gli fai: ma come niente? Avete dei prodotti interessantissimi, ci sono un sacco di persone che vorrebbero parlarne! E loro rispondono: eh, ma come si fa? Non si può mica parlare di cose che...

Voilà. Ciao ciao condivisione, addio conversazione.

Il problema è che siamo figli del copyright. Siamo cresciuti in un regime di protezione delle informazioni, di segretezza delle relazioni, di fatti compiuti. La nostra generazione fa uno sforzo mostruoso per stare dentro al perpetual beta, alle cose non del tutto finite, perché significa mostrare i punti deboli, far emergere i difetti oltre ai pregi, e mettersi così in balia di quelli che, truffaldinamente, rubano, completano e portano a casa.

Giorni fa, parlando con il mio (ormai ex) capo, gli dicevo che ho realizzato che si cresce meglio, e di più, fuori dall’azienda, perchè si ha modo di confrontarsi e di condividere. Poniamo che io abbia un’idea che mi sembra abbastanza buona, ma che richiede di essere completata, studiata, rifinita. Se decido di svilupparla in azienda dovrò stare attenta a parlarne solo con le persone giuste, con chi può realmente percepirne il valore, e anche in quel caso non è affatto detto che queste persone abbiano il tempo, la voglia, le competenze, per lavorarci. Quindi la mia idea diventa un uovo da covarmi da sola, e se era davvero una genialata bene, se invece era una cavolata alla fine la montagna partorirà un topolino. Se però sono libera posso fare scelte diverse, ad esempio andare a cercare le persone più adatte e farmi aiutare a capire se era una figata o un topolino. E quando un’azienda me lo chiederà, potrò darle di più di quanto avrei mai potuto fare se fossi rimasta tutto il tempo alla mia scrivania.

Non so, a me sembra che le cose stiano più o meno così. Ma magari è un topolino.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Tu lo sai meglio di me: anche la critica più assurda o "sbagliata" nasconde un bisogno del cliente. Dal mio angolino sono molto attento alle critiche, perchè se bene interpretate aiutano a migliorare il prodotto o il servizio. Che dici: l'accettazione delle critiche è indice di intelligenza?

Giuliana ha detto...

lo è, ne sono certa. il che dimostra che l'intelligenza è merce rara.

abc ha detto...

Mi domando: ma se l'accettazione delle critiche è indice di intelligenza (cosa che condivido) e l'intelligenza è merce rara, necessariamente chi muove le critiche è una persona intelligente? Proviamo a spostare la questione da chi ha il CORAGGIO di esporsi a chi ha la BALDANZA di avanzare critiche magari anche stupide. Intendo dire: è intelligente chi accoglie propositivamente le critiche, ma è altrettanto sempre intelligente chi le muove?
Tante ritrosie forse attengono più a questa seconda questione che alla prima.
Un caro saluto.
Ti seguo...

Elena Galli ha detto...

hai ragione da vendere.
tral'altro non ho fatto in tempo a leggere questo post prima e devo dire che l'incontro al quale abbiamo assistito ieri sera, abbia i punti deboli che hai citato qua.