lunedì, aprile 06, 2009

Un altro terremoto

Il boato non è un rumore, è assenza di rumore. Un vuoto di suono profondissimo che viene da dentro, nello stomaco. Una voragine che si apre di colpo e che non c’entra niente con qualunque altra cosa tu abbia sentito prima. Senti, vedi, con tutto il corpo, una frana, una valanga. Rotolano massi, ma dentro di te. E poi la vertigine. Il vuoto, di nuovo, ma stavolta sotto tutto il tuo corpo. Perchè stavolta non è il cielo che ti cade sulla testa, è la terra che ti manca sotto i piedi, letteralmente.

La casa in cui abitavo e nella quale non sono rientrata più era al primo piano. In linea teorica non avrebbe dovuto riportare così tanti danni. Ma il terremoto del 1980, in Irpinia, era stato duro. E lungo. Nessuno meglio di chi c’era può sapere quanto sono lunghi 80 secondi. C’era stato un movimento ondulatorio (quello che fa oscillare i piani più alti) e uno sussultorio (quello che fa saltare gli edifici), e l’insieme dei due aveva creato un effetto di rotazione. La mia casa si era girata su se stessa, come un marshmallow.

Ci vuole un po’, prima di rendersi conto. Cioè, non è vero, ci si rende conto subito, però non ci si vuole credere, e allora si fa finta, ci si attacca alla convinzione, alla preghiera, che non sia quello. Poi vedi i lampadari, i quadri si staccano dalle pareti, tutte le stoviglie riconquistano la libertà fuori dai pensili, dalle mensole, dagli sportelli. Il divano su cui ero seduta si era spostato al centro della stanza, schiacciato sotto il tavolo, ma tutti i mobili ballavano insieme.

Mio padre e mia madre hanno preso me e mia sorella e ci hanno portate con loro sotto l’architrave di una porta – le architravi sono le parti più robuste, dice. Era un muro portante, largo 60 centimetri. Io non parlavo, non piangevo, ero entrata nel boato e lì sono rimasta. Poi ho alzato la testa e ho visto una cosa che non dimenticherò mai: il muro si apriva. Lentamente, come se un gigante ci stesse giocando. E ho pensato che era finita. E ho pensato che non ci fosse niente da dire.

Dalle finestre si vedevano le montagne intorno a Potenza. C’erano come delle fiammate, il cielo era tutto rosso. Da lì a poco le montagne sarebbero state solcate da un unico, enorme serpentone di auto in coda che cercavano di uscire dalla città.

Dal nostro loculo si sentiva rumore di pietre che rotolavano: erano gli appartamenti del pian terreno, dove i pavimenti si stavano ribellando e si sollevavano. Letteralmente.

E poi la gente. Dopo il primo momento di stordimento la gente aveva cominciato ad uscire dagli appartamenti dei piani più alti – le scale sono il posto più pericoloso, dice. Un fiume di gente, per essere domenica sera. Ci siamo messi le scarpe e siamo usciti anche noi. Nel serprentone di auto. Ci siamo diretti prima verso il centro, per andare a recuperare una vecchia zia che viveva sola. Siamo passati davanti a quello che, da lì a due anni, sarebbe diventato il mio liceo. Era sventrato. Non una finestra, una porta, un cancello, erano rimasti al loro posto. Da fuori si vedevano i banchi, le lavagne, i fogli. Pensai che forse era quello che succede, quando scoppia una bomba.

Dopo alcune ore abbiamo raggiunto un piccolo villaggio turistico appena fuori città, che apparteneva ad un amico di famiglia. Siamo stati fortunati. Non abbiamo vissuto la tendopoli, almeno. Le linee telefoniche erano instabili, e per avere notizie del mondo usavamo il baracchino del nostro ospite, che parlava con i militari, con gli scout e con i primi volontari. Poi, a notte fonda, siamo riusciti a parlare con mio zio, che abitava a Milano. Per tutta la notte abbiamo parlato con Milano per sapere che cosa ne fosse stato del resto della famiglia.

Siamo rimasti lì in montagna per una settimana. Io ho parlato solo dopo 24 ore. Ogni sera passava da noi mio zio, operaio della Sip, che lavorava a Pescopagano, l’epicentro. Ogni sera veniva, riusciva a malapena a salutare tutti e poi piangeva. “Voi non potete immaginare – diceva – non potete immaginare che cosa c’è”.

Ce lo diceva la televisione, che cosa c’era. E quando finivano i servizi sul terremoto, il nostro ospite faceva spegnere: niente programmi di evasione, neanche per i bambini. “Sono giorni di lutto”, diceva. E noi, i bambini, andavamo nel presidio militare là vicino, dove si stavano organizzando per ospitare gli sfollati. I soldati venivano da tutta Italia, ma erano ragazzi, scherzavano volentieri mentre trasportavano letti, coperte, alimenti, stufe – faceva freddo: il giorno dopo iniziò a nevicare e non smise fino a maggio: eravamo a novembre.

Passarono mesi prima che la situazione tornasse a somigliare alla normalità. In un’altra casa – quella dei miei nonni, dove siamo rimasti per tre anni, perché i lavori di costruzione della nostra nuova casa subirono un rallentamento, naturalmente -, in un’altra scuola – il Conservatorio, dove andavo io, non fu più agibile per anni -, con altri amici – i miei si sparsero ovunque, molti di loro non li ho più rivisti, da quel giorno.

Da allora il 23 novembre è per me una specie di secondo compleanno. È stato il giorno che ha cambiato il corso della mia vita, e di quella di molte delle persone che mi stavano attorno. È stato il giorno in cui ho visto la mia casa crollarmi addosso e io sono sopravvissuta.

Sarà un compleanno anche questo 6 aprile, per molte delle persone che oggi stanno vivendo storie come la mia. A loro vorrei dire solo una cosa: fra qualche ora si aprirà il can-can degli aiuti, delle speculazioni, dei furti, dei “si poteva prevedere”. Vi farà molto male, tutto questo. Molti si arricchiranno sul vostro dramma. Si dirà che il sud è sempre il sud, niente di buono. Vi feriranno. Voi però siete sopravvissuti. Loro, chi lo sa. Forse sono già morti, ma nessuno li ha avvisati.

33 commenti:

Unknown ha detto...

Un abbraccio muto, da una lettrice silenziosa ma affezionata...
Silvana

copyman ha detto...

In ciò che hai scritto riascolto parola per parola quello che cercò di spiegarmi nel 1988 un mio coetaneo della Val d'Agri conosciuto durante il militare.
Razionalmente mi era tutto chiaro, potevo persino "vedere" le palazzine ai lati opposti di una strada torcersi avanti e indietro come canne sotto l'uragano sino a scontrasi sulla verticale della mezzeria.
Io, che non avevo mai sperimentato cosa fosse un terremoto, rimasi stupito da un particolare che non mi sapevo spiegare: quel ragazzo così pacato sembrava quasi voler mantenere una sottile distanza emotiva da ciò che rievocava.
Avevo l'impressione che tutti quei dettagli così vividi, precisi, aguzzi come immagini troppo contrastate fossero solo la parte visibile di qualcosa di più profondo per cui non esistevano parole: qualcosa di simile a un nucleo di pena o di angoscia totali, terribili, muti: gli 80 secondi eternati in un blocco di cristallo.
Forse sbaglio, ma anche nella tua rievocazione così nitida e lucida ho avuto, in parte, la stessa sensazione di qualcosa che va oltre ed è ineffabile.

Giuliana ha detto...

è che lì ti rendi conto della tua impotenza. totale. ed è una sensazione così profonda da non potersi descrivere.

Igraine ha detto...

Bellissimo post Giuliana.

Flavia ha detto...

deve essere cosi' doloroso per te rievocare quei momenti. Io ero a Salerno, in cortile dopo la messa della domenica sera. Ricordo il black out, gli allarmi che partono tutti insime, il boato agghiacciante, i bagliori sul mare in lontananza. Corro da mia madre e resto abbracciata a lei, e non finiva più, non finiva più. Da quel giorno non c'è stato più un 23 novembre in cui non abbia pensato "dio mio, il terremoto".

emily ha detto...

io ero al cinema e abbiamo pensato a un incendio.siamo scappati tutti fuori senza capire nulla, ma terrorizzati. ma fuori era tutto normale, nulla di pauroso e ci siamo rassicurati.
nn riesco ad immaginare cosa deve essere vedere il mondo che si disfa sotto ai tuoi occhi, nn avere più punti di riferimento, nn poter chiamare "casa" il tetto dove dormi.
un pensiero a tutti quelli che stanno subendo tutto questo

thecatisonthetable ha detto...

Ricordo due terremoti terribili, qui da me: ottobre 96 e lo scorso dicembre.

Il terrore nasce perchè, come hai detto tu, ci si rende conto dell'agghiacciante impotenza dell'uomo davanti agli eventi della natura.

Mi manca il fiato se ci penso.

Immagino cosa possa voler dire per te.

Un abbraccio...

Cassandra ha detto...

Una delle cose che quella paura ti ha donato, è sicuramente quella di saper descrivere così bene quei momenti...
È un racconto mozzafiato, inquietante... sono sicura che poterlo raccontare cambia il significato della parola "vivere".
Grazie

Mammamsterdam ha detto...

Solo la distanza ti salva. Se non ce l'hai, te la dai.

Un abbraccio,
Ba

Laura.ddd ha detto...

Grazie per il tuo racconto. Laura

LGO ha detto...

Non credo che si possa neanche immaginare cosa vuol dire terremoto per chi l'ha vissuto. E credo che ci voglia un gran dolore e una gran fatica per raccontarlo.
Grazie. F.

Ondaluna ha detto...

Grazie di cuore per il tuo racconto.

Igraine ha detto...

Coraggio! Mi sto attivando presso la mia azienda per sollecitare una raccolta fondi, spero che chiunque legga faccia lo stesso. Poi c'è la possibilità di donare, qui un elenco associazioni http://kataweb-ilcaso.temi.kataweb.it/2009/04/06/terremoto-in-abruzzo-informazioni-utili/,

a livello cose da portare so che qui in croce rossa a milano raccolgono vestiti e cibi in scatola, in via pucci
e poi iniziativa pediatrica qui http://quimamme.leiweb.it/mamma/news/articoli-2009/quimamme-l-abruzzo-20155621712.shtml

per favore diffondete sui vs blog, grazie

Irish Coffee ha detto...

e nel silenzio resta quel boato
che nella memoria resta sempre impresso...
tu sai cosa hanno provato
tu sai cosa stanno vivendo
grazie a te ne so di più anche io
un compleanno da dimenticare
non merita di essere festeggiato
la speranza è sempre una sola
che non accada mai più!!

Nicky ha detto...

Lascio un abbraccio commosso

Rita ha detto...

davvero non so che dire, sto zitta e piango.

Marilde ha detto...

Grazie.

Raperonzolo ha detto...

Grazie per questo bellissimo post, Giuliana.

Francesca Palmas ha detto...

cosa ti posso dire? Assolutamente nulla. Perchè sento tanto silenzio dentro...

luviluvi ha detto...

Ho la pelle d'oca.....

Altro che quello che si legge sui giornali (ormai
i giornalisti non ci sono più, sono solo "giornalai")

MammaNews ha detto...

che brividi mi hai fatto venire e che ricordi condivisi di qul teribil terremoto dell'80. ero a napoli, ero un bambina e vedevo il piatto con la mia pastina che andava su e giù per il tavolo e io col cucchiaio cercavo di riacchiapparlo. ricordo il terrore, la notte insonne passata in macchina, insieme a tutti quelli del quartiere e il salumiere che apriva il negozio di notte per preparare tè e caffè a passava di macchina in macchina. il terremoto è la natura che urla conto di te e tu ti senti nulla

Panz ha detto...

sto piangendo
e basta

Anonimo ha detto...

Vorrei descriverti tutte le emozioni che ho provato nel leggere riga dopo riga questo post.
Ma non sono brava.

E allora ti riporto una frase, che parla di tutto, che parla di TE:
"È stato il giorno in cui ho visto la mia casa crollarmi addosso e io sono sopravvissuta."

Questa frase è un distillato di tutta la forza che hai.
Splendida donna.

Titty

valewanda ha detto...

il più bel post sul terremoto che ho letto... grazie Giuliana, di averlo voluto condividere con noi, davvero...

Giuliana ha detto...

questo post ha avuto trent'anni di incubazione. ogni 23 novembre ha premuto per uscire, ma non ci è mai riuscito. grazie a voi per aver ascoltato questa storia.

bombamagagna ha detto...

nell'80 avevo 4 anni, ricordo poco, ma è impresso dentro..ogni scossa mi apre una crepa dentro, anche a migliaia di chilometri.

abc ha detto...

Cara Giuliana, condivisioni di storia personale da una Potenza ferita: quel grido muto, quel silenzio reboante, quel morso dentro ci accomuna in un ricordo che trasuda brividi ad ogni nuovo "tremore" di terra.
Un silenzioso contatto che affonda le radici nella paura e nel disincanto che, in queste circostanze, assume nuovamente il volto pallido della paura.
Un abbraccio imperativo e simultaneo.
Donato

Renata ha detto...

Grazie anche da aprte mia

Raffaella ha detto...

Ho letto tutto d'un fiato, e i tuoi ricordi sono così vividi che sembra di essere stati lì con te.
Grazie per aver condiviso un ricordo così importante.
Raffaella

Anonimo ha detto...

adesso sento di conoscerti più a fondo .ti voglio bene.grazie giuly

Anonimo ha detto...

Mio padre era un pilota osservatore dell'esercito che adesso non c'e' piu'..... ma mia madre che visse con lui questa terribile esperienza mi racconta sempre di un geologo che volle venire ad osservare una casa che si rigiro' su se stessa..... lo accompagno' mio padre.... credo fosse proprio la tua.....

Anonimo ha detto...

scusate non ho saputo inserire il mio nome..... mi chiamo Santina Briguglio....

santina briguglio ha detto...

scusate non ho saputo inserire il mio nome..... mi chiamo Santina Briguglio....