mercoledì, giugno 01, 2011

A cena con Badgeville

“Ma dove cavolo è Kettydo?” 

Effettivamente per una come me, dotata del senso di orientamento di una trottola ubriaca, non è così banale. Prima di arrivare alla meta sono passata in altre due situazioni – un set fotografico per chissà cosa e una festa rasta –, ho mandato l’SMS di cui sopra e ho fatto una telefonata.

[Piccolo disclaimer per gli amici di Kettydo: la prossima volta, negli inviti, non indicate solo il civico, ma anche il piano e il numero di loft. Ho motivo di pensare di non essere la più imbranata del mondo, e se anche fosse così, fatelo per me, che tanto non vi costa niente lo stesso ;)]

L’occasione era ghiotta: io e qualche altro blogger eravamo invitati a cena per conoscere Maarten De Zeeuw, Direttore Europa di Badgeville.

Badgeville è una piattaforma (white-label, quindi customizzabile dal singolo brand che ne fa uso) che introduce meccaniche di gioco nella normale attività degli utenti dei siti, con dinamiche fortemente integrate ai social media. Quindi, a seconda dell’attività svolta, i membri della comunità riceveranno punti, badge, coupon, e così via, proprio come se fossero su Foursquare o su Miso o su un qualunque socialcoso con una forte componente di gaming.

E infatti la novità di Badgeville è in questo, che potrebbe essere il nuovo trend social dopo la geolocalizzazione: la gamification. Il presupposto è più o meno: se l’attività in rete diventa in gioco, le persone risulteranno stimolate ad attuare certi comportamenti, e questi comportamenti saranno misurabili, perché non più dispersi nel mare magno dei social network ma concentrati, per così dire, in un unico hub, che potrebbe essere costituito dal sito del brand. Bello, dice. Sì, bello, soprattutto dal punto di vista del marketer, che finalmente potrà dare i numeri con un po’ di senso (perché poi, gira che ti rigira, il punto è sempre lì: i numeri).

Io però ho fatto un altro pensiero, ed è quello che voglio condividere, più che un’analisi del fenomeno in sé (per il quale si trova in rete ricca documentazione).

Leggo nel sito gamification.it:

La gamification ha due obiettivi decisamente interessanti […]. 
Il primo è “stimolare un comportamento attivo e misurabile”. L’implementazione di meccaniche ludiche è uno dei metodi più efficienti per coinvolgere le persone nelle attività di un sito e di un servizio, ma anche per agevolare comportamenti offline. […] 
Il comportamento dell’utenza è misurabile, raccogliendo i dati basati sulle azioni compiute all’interno del gioco. È perciò possibile effettuare una profilazione degli iscritti, permettendo di concentrarsi particolarmente sul target e/o cercando di espandere il potenziale bacino d’utenza. 
Il secondo obiettivo della gamification (in realtà, per certi versi, presupposto del primo) è “guidare un interesse attivo verso il messaggio da comunicare”. La gamification è dunque un mezzo per veicolare efficacemente le varie informazioni, focalizzando l’attenzione dell’utente verso la campagna di comunicazione ed il brand. Per esempio la gamification applicata ad un sito può valorizzare il messaggio, migliorare il coinvolgimento e raggiungere fasce demografiche differenti. […]

La domanda che mi sorge spontanea è la seguente: che differenza c’è tra questo e la raccolta punti di Ferrero o dell’Esselunga? Lasciamo stare che una cosa è on e una è off line. Tutti i meccanismi di loyalty si basano sull’attivazione dei clienti e sono finalizzati, oltre che alla fidelizzazione, alla misurabilità. Lasciamo stare anche, incidentalmente, che nella maggior parte dei casi tutti i dati rilevati da un programma di loyalty rappresentano solo un sottoinsieme dei fattori che incidono sulla vita di un brand, poiché gli altri atti d’acquisto – quelli di chi la carta fedeltà non ce l’ha, nel caso specifico – rappresentano una mole di dati troppo imponente per poter essere veramente utilizzata: in altre parole, anche se l’Esselunga sa che cosa compro ogni settimana, questa informazione non le serve a niente, oltre che a sapere che una volta l’anno mi regalo un gadget con i punti che ho accumulato.

E da questa domanda la successiva diventa: non è che siccome non abbiamo abbastanza fantasia stiamo riproponendo logiche tradizionali (nel senso di marketing tradizionale, quello delle 4 P) alla rete? Insomma, il problema oggi come oggi è, per le attività social, la misurazione. Non la misurabilità, che sarebbe anche possibile, semplicemente adottando KPI diversi da quelli tradizionali; bensì la misurazione in sé, poiché il difficile è far digerire ai marketer suddetti che i numeri danno un’idea parziale di quello che succede veramente al brand quando va in rete, tra le persone, nel mondo. 

Badgeville sfrutta molte delle potenzialità espresse dalle dinamiche della rete, e questo è un bene, perché vuol dire che nella rete "ci sta dentro", e anche alla grande. Però la finalità in sé non mi sembra veramente innovativa, non ai fini del marketing e di una cultura del marketing che fa fatica a liberarsi delle zavorre degli ultimi, diciamo, trent'anni. Se vogliamo andare verso una relazione con il consumatore ho dei dubbi che la strada possa essere questa: avrò consumatori fidelizzati al gioco più che al prodotto, a meno che io non sia veramente bravo e riempia il gioco (di cui prima o poi la gente si stuferà, come si è stufato di Farmville) di contenuti effettivamente utili alle persone. Alle persone, non ai consumatori, né al brand.

Ecco, queste sono solo considerazioni. Che mi vengono così, da marketer mio malgrado e umanista di formazione. Proporrò sicuramente Badgeville ai miei clienti, e ci giocherò, anche. Ma continuerò a cercare il modo di andare davvero in una direzione che possa essere fedele alle persone che stanno in rete più e prima che ai miei colleghi marketer.

1 commento:

emanuela ha detto...

Sono d'accordo su tutto quello che scrivi.
Aggiungerò di più: sarò un po' bacchettona, ma tracciare i comportamenti delle persone durante una attività ludica mi sembra esageratamente invadente.
Altra osservazione, ancora più bacchettona: mi sta molto piacendo quello sta succedendo sulla rete in ambito social network. Da luogo del "cazzeggio" sta sempre più trasformandosi in strumento per veicolare messaggi forti e seri. Non è già abbastanza interessante per i marketer?