Se 5 anni fa mi avessero detto come avrei trascorso la serata del 18 dicembre 2006, mi sarei fatta una manica di crasse risate. Perché no, non era proprio possibile.
È andata così. Una cosa che ho omesso nel mio breve resoconto di viaggio è stata la fine, che tuttavia è degna di nota. È successo che, in volo verso casa, la temperatura di Gabriele ha iniziato a salire vertiginosamente. Non avendo con me le medicine – leggi Tachipirina (imbarcata insieme ai beauty, onde evitare le menate su liquidi, creme e limette per unghie; perché chi si immagina che uno che fino a un attimo fa stava benissimo e saltava da tutte le parti, un attimo dopo si sarebbe ridotto a uno straccetto?) abbiamo fatto l’unica cosa possibile: gambe al vento e tovagliolini bagnati ovunque. Lui era talmente cotto che non ha neanche protestato. Appena scesi, la prima cosa è stata infilargli una supposta nel bagno della sala di attesa bagagli, e poi via verso casa con la macchina sovraccarica di persone e bagagli. Dieci minuti dopo, un ulteriore remake de “L’Esorcista” si svolgeva sotto i nostri occhi. La preoccupazione degli astanti, a quel punto, si è spostata di colpo dallo stato di salute di Gabriele a:
1. l’alcantara dei sedili della macchina nuova
2. gli stivali nuovi di Sandra
3. la mia giacca, più volte rovinata in tintoria, e ora destinata a tornarci.
Insomma, una fine degna. Tre ore che, se non la prendi bene, possono mandare a farsi benedire tutti i benefici della vacanza. Perché c’è un’altra cosa che ho omesso. Ed è che quando Gabriele sta male, anche io sto male. Nel senso che accuso gli stessi sintomi. Non è sempre stato così, all’inizio ero molto più rilassata: del resto, si sa, i bambini si ammalano in continuazione. Però quando siamo finiti in ospedale per le convulsioni febbrili, due anni fa, la mia prospettiva è cambiata radicalmente. Tutti i bambini si ammalano, ma se il mio finisce a respirare ossigeno da una mascherina per una stupida influenza, allora è tutto diverso. Già quella volta uscii dall’ospedale, una settimana dopo il ricovero, con la febbre altissima. E da quel momento, anche se la mia temperatura non fa un plissé, ogni linea di febbre di Gabriele toglie 5 anni di vita a me. Da cui la storia del bimbo seminudo e bagnato in aereo, che a posteriori può essere stata la causa del (suo) raffreddore dell'anno. Ma del senno di poi...
Comunque. Tutto questo per dire che Gabriele è malato, tuttora, perché non gli è mica passata. E grazie a un pediatra di rara professionalità non sono riuscita a farlo visitare fino a ieri sera (che mentre andavo, imbottigliata nel traffico delle 18.30 in una sera di pioggia a Milano, mi chiedevo se quando il dutùr ha fatto il suo giuramento avesse giurato su un libro della Littizzetto. Questo spiegherebbe). Così esco dall’ufficio presto (appunto) e corro verso lo studio, dove la tata ha l’appuntamento col dottore. Quando arrivo loro sono già dentro. Parlo col dottore (diagnosi vaga, previsioni di guarigione: chi può dirlo, comunque a scuola prima di Natale non ci torna, figata, mi risparmio la festa), andiamo tutti insieme in farmacia (30 € di medicine nuove nuove), torniamo a casa. Dove io e la tata giochiamo a “celo, celo, mimanca” con le scatoline nuove e ci dividiamo i compiti per i giorni a seguire: le goccine gliele do io, l’aerosol glielo fai tu, calcoliamo qual è la dose giusta di Tachipirina, sei sicura tata di voler rinunciare al tuo appuntamento prenatalizio col parrucchiere, perchè se vuoi io mi prendo qualche ora di permesso, cose così.
Exit tata. Con una previsione di spesa che non ho ancora calcolato, ma essendo intorno ai 70 euri al giorno, basta poco. Quasi quasi rimpiango la festa di Natale a scuola. Anzi, darei una percentuale di quanto mi costerà questo scherzo per essere presente.
La vicina-nonna viene in mio soccorso appena la tata si allontana, con il suo leggendario brodo. Che non è solo per l’anima, il brodo, ma anche per il corpo, essendo anche uno dei piatti preferiti di Gabriele. E siccome Alberto è via per lavoro, al brodo ho diritto anch’io. Ce lo facciamo fuori, questa volta senza grande entusiasmo, mentre ci vediamo Madagascar. Un po’ negletto, questo film, chissà perché: mi rendo conto che forse non l’ho mai visto tutto, contrariamente al resto della videoteca di mio figlio.
Poi pigiamino e nanna. Si fa per dire. L’ho abbattuto che saranno state le 11. Mi ha chiamato almeno una decina di volte, e io, vedendo quel faccino, non me la sono sentita di fare la dura.
Finalmente sola. Mi apro una birra e mi metto su il triplo CD di De Gregori (uno alla volta, naturalmente, ma metodicamente), che non sono ancora riuscita ad ascoltare. È un tuffo nel passato che mi fa venire i lucciconi. Persa nello stupore, mi ricordo tutte le parole di quasi tutte le canzoni, almeno di quelle che vengono prima del 2000, più o meno, con una importante specializzazione fino a Titanic.
E penso che quando mai me lo sarei immaginata, che ci sarebbe stata una serata così, sotto Natale, proprio per me che non mi sono mai fatta mancare feste e festini d’auguri con le compagnie più fantasiose. Quando mai me lo sarei immaginata che un giorno avrei scritto la letterina a Babbo Natale per mio figlio (mio figlio??? IO un figlio??? Ma figuriamoci, mi ci vedi a fare la mamma, e ingrassare e fare le torte in casa e raccontare le favole e cantare ninnananne? A telefonare in ufficio e dire “non vengo, mio figlio è malato”? Bah, cazzate!).
Persa in questi pensieri ho fumato l’ultima sigaretta, ho spento la musica e sono andata a letto, ad annusarmi il piccoletto. E a chiedermi cos’è che un giorno ti fa pensare “ora faccio un figlio” e, contrariamente a quanto è successo fino a quel momento, te lo fa fare davvero.
6 commenti:
perchè siete tutte cosi' schizzate o madri moderne? Non sarebbe ora di assumere un ruolo piu' umano soprattutto per i vostri figli?
e da cosa credi che nasca il fatto di essere schizzate, se non dall'aver giocato a fare gli uomini fino al giorno prima (è quello che ci richiede il mondo esterno alla famiglia, leggi lavoro) e dal ritrovarsi di punto in bianco "umane" in maniera così totalizzante da essere struggente?
il volto che mostriamo ai nostri figli è anche più che umano, te lo garantisco - ho appena scritto che quando sta male lui sto male anch'io - solo che è la nostra identità che spesso ne viene fuori a pezzi. ci vorrà qualche generazione perché si ricrei un equilibrio sano, temo.
ah, e tu perché non ti firmi? :)
Ah, che darei per una sigaretta!
Il figlio malato te lo lascio a te!! ;-)
La meringa
Chissà se le supermamme erano quelle di 50 anni fa con 7 figli o quelle di oggi iperprogrammate a dover far tutto e guai a lasciarsi andare anche al benchè minimo sfogo legittimo che ecco spuntare l'anonimo pronto a tirare le orecchie!
Auguri a te, Giuliana, e al piccolino.
TZ
Giuliana, se non ci fossero tutti stì chilometri a separarci ti vorrei abbracciare...perchè nessuno ha mai verbalizzato così bene la sensazione di indebolimento che si impossessa di noi appena vediamo il visetto di quel figlio tanto voluto o capitato un minuto prima di ammalarsi...se hai letto qualche mio vecchio postil blog l'ho iniziato quando mia figlia ha cominciato ad avere questi dolori alle gambe ed è cominciato il mio tour per dottori...per cui sono molto sensibile a questo argomento...grazie a Dio dopo tutti questi mesi ho imparato a non drammatizzare ma ho molti anzi parecchi capelli bianchi in più!
Comunque ti lascio i miei auguri di Buon Natale più cari a te e alla tua famiglia
Un bacione natalizio
Graziella
Sono uomo e pure giovane..
Non dovrei capire molto, ma qualcosina qui e lì la intuisco..
Spero adesso stia bene.
Un saluto.
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