martedì, aprile 10, 2007

Questioni di famiglia

Lo ammetto. Non sono mai stata una fan della famiglia. Al contrario, ho sempre creduto più validi i legami in cui le persone si scelgono, piuttosto che quelli di sangue, così perniciosamente affidati al caso. Mea culpa. E tuttavia negli ultimi anni ho rivalutato il tutto, alla luce di eventi lieti e meno lieti che hanno visto come protagonista la famiglia. Solo che ora lo sguardo è molto più critico, essendo stato acquisito in età adulta (dopo un lungo rifiuto durante gli anni dell’educazione). Perciò oggi ho le idee piuttosto chiare su quello che posso aspettarmi e sul valore da dare a certe relazioni familiari. In questa mia visione della famiglia ci sono, in forma piuttosto atipica, anche gli amici, o per lo meno certi amici, per la maniera in cui mi sono stati vicini e io sono stata vicina a loro.

Intendiamoci, non è che ne faccia una questione di do ut des. Al contrario, è una questione di relazioni: che devono essere coltivate, secondo me, per avere valore; se no sono finte, e allora non vedo perché considerarle. Sangue o non sangue. Per esempio, un familiare che vive a 30 km da casa mia (il che ne fa il familiare più vicino) e che è sempre troppo occupato con i figli adolescenti per passare a vedere se siamo vivi o morti, anche in situazioni particolari, tipo bimbo o marito in ospedale. Ovviamente il fatto che nostro figlio è piccolo non ci ha mai impedito di fare la nostra gita periodica per andarli a trovare. Ecco, un familiare così, detto fuori dai denti, non lo considero granché familiare. Più che altro una voce nell’asse ereditario. Nello specifico, di mio marito.

È proprio come con gli amici: uno può essere grande amico per anni, condividere tutto, e poi a un certo punto sparire dalla circolazione. Io ho un’amica così: una o due volte l’anno si palesa con un messaggino in cui dice qualcosa di piuttosto criptico, del tipo “ci dobbiamo vedere assolutamente ti devo raccontare ti chiamo appena torno da india tre settimane”; che più o meno dovrebbe significare che si trova in India e che fra tre settimane torna e ci vediamo. Di solito la prima cosa che faccio è chiamarla lo stesso, ché magari è ancora in aeroporto, e lei non risponde o mi dice in modo concitato: “G non puoi capire, sta succedendo di tutto! Ci dobbiamo assolutamente vedere! Ti chiamo io! Ora devo scappare! Ciao!”, tutto così, pieno di punti esclamativi. Moltiplicato per dieci anni, con molto dispiacere non la chiamo più. Se al ritorno da uno dei suoi viaggi vorrà vedermi mi chiamerà. Se non avrò impegni sarà bello chiacchierare con lei.

Una forte commistione tra amici e famiglia si è verificata anni fa, quando avevo iniziato a frequentare Alberto. Venivo da un periodo piuttosto animato, sentimentalmente parlando: per essere più espliciti, il sentimento non c’entrava proprio niente. Mi divertivo e basta, e pure parecchio. Finché non è arrivato Alberto. Che in una sera mi ha messo in riga.
A quel punto i miei amici non sapevano cosa pensare. Così un pomeriggio mandarono un’emissaria, L., che mi convocò per un aperitivo, con aria di urgenza. Mi presentai puntuale all’aperitivo, e lei era piuttosto imbarazzata. La prendeva alla larga, del tipo: “Allora, coma va?” e io “Bene!” e così via. Dopo il primo Negroni le si sciolse la lingua.

“Giuliana, ci siamo visti e…”
“Vi siete visti chi?”
“Tutti. Io, F., G., E…. Insomma tutti. Il fatto è che siamo un po’ preoccupati”
“Preoccupati?”
“Sì. Insomma, noi ti conosciamo da tanto tempo, e devi ammettere che questa cosa, adesso… Insomma, questo fidanzamento… Sarà sicuramente una brava persona, però…”
“L., mi stai dicendo che avete paura che mi sia messa in casa un maniaco?”
“Beh, proprio un maniaco… Però sì, insomma. Che ne sappiamo noi? Anche tu, mica puoi conoscerlo così bene…”

Ha parlato abbastanza a lungo da farmi capire che la sua, la loro ansia era reale, e che non era certo per ficcare il naso nelle mie cose. L’ho convinta che Alberto non era un maniaco, e neanche uno perseguitato dalla legge, che era (in maniera accettabile) sano di mente e che io ero molto felice. Dunque non c’era niente di cui preoccuparsi. E però li ringraziavo molto del loro interessamento.

Era vero. Neanche per un attimo ho vissuto questa intromissione dei miei amici nella mia vita privata come una mancanza di discrezione. Al contrario, mi sono sentita protetta. E mi ha fatto un gran bene sapere che attorno a me c’erano persone su cui contare. Sangue o non sangue.

10 commenti:

Francesca Palmas ha detto...

Anche io credo più ai legami che si creano per affinità e affetto e non solo perchè tu sei mio zio cugino nuora etc etc...
E infatti questa Pasqua mi sono tirata via dalla Pasqua con la famiclia del coniglio,per passarla con mio fratello e la ragazza, per scoprire che siamo andati d'accordissimo e che c'è ben più del semplice legame di sangue come io credevo...
Un bacio :)

Anonimo ha detto...

E mia cara, non è mica stato facile. Le reazioni potevano essere le più disparate, ovviamente hanno mandato avanti me... con la scusa del tu sai cosa dire, sei diplomatica, sai parlare con le persone ed infatti il risultato è stato che ho dato del pazzo maniaco al tuo attuale marito....Poverino! Una vera dimostrazione di diplomazia!
Non era quella l'intenzione, o almeno, non in quella forma....
Ma sai quanto i negroni siano efficaci su di me, e poi come tu hai ben detto eravamo preoccupati per te.
Salutami Alberto....
L.

Giuliana ha detto...

non ci posso credere! L in persona che commenta! uau, che onore!
baci!!!

Anonimo ha detto...

Certo che ne abbiamo, di affinità: anch'io, prima di Mignolo, ho vissuto un periodo piuttosto "allegro". Poi è arrivato lui e io ho pensato di aver trovato il padre dei miei figli. Sesto senso femminile?
Un saluto
Chiara

ruben ha detto...

Condivido in pieno, anche riguardo agli sms del tipo "Ciao come stai" dopo tre mesi che non ci si sente. A questo proprosito avevo scritto anch'io una pagina vari mesi fa. Quanto ai parenti, io non ne ho quasi più. Zii, cugini e vari anagraficamente dichiarati come parenti, ma di fatto non proprio, sono stati eliminati e non so nemmeno dove siano. Ho ricostruito una famiglia lasciando la parentela strettissima e gli amici di sempre, quelli che "ci sono" in ogni momento. E non mi sono mai pentita!

Laura ha detto...

Forse lo sai, sono stata male un anno e mezzo fa.
Ho un'amica, da..sempre, dal V ginnasio (ho 45 anni!!!) con la quale ho condiviso scuola, università, studiate epiche fino alle 5 di mattina con 1000 sigarette (fumavamo, all'epoca), sciate, delusioni d'amore, vacanze coi fidanzati, dolori immensi per la morte dei suoi genitori e mio papà, nascita dei figli (c'ero solo io, con suo marito, fuori la sala parto la notte che è nata la sua bambina), tutto ciò che accade in una vita. Nella mia è accaduto anche che comparisse il male. Era estate, momento dispersivo per eccellenza, in cui i contatti si rarefanno. Ed è anche vero che da qualche anno ci vediamo poco e sentiamo meno di frequente ma ci siamo sempre state. Prima di entrare in clinica le ho telefonato, era il 2 agosto, e le ho detto quello che mi stava succedendo. Con quello che lei sa essere il mio modo spiccio che serve a provare ad allontanare le paure, non ho pianto, l'ho solo informata. Lei era al mare, mi ha chiesto se avessi bisogno di qualcosa, se volevo che venisse. Le ho detto di no, avevo intorno tante persone, non era necessario. Mi ha telefonato poi diverse volte. E' passaro agosto. Siamo tornate tutte e due a Roma. Settembre. Ottobre. Novembre. Dicembre. Gennaio. E sempre "Quando ci vediamo in centro per mangiare qualcosa insieme?". Poi non ce l'ho fatta più e sono sbottata. E le ho detto che era assurdo che non avesse sentito l'esigenza di venire a VEDERMI, a verificare se era vero che stavo bene, a vedere la mia cicatrice, se la radioterapia mi aveva dato fastidio, a guardare dentro i miei occhi per capire se avevo ancora paura, a sentire dalla mia stretta di mano cosa significa sentrisi dire che si ha il cancro e, insieme, soprattutto e nonostante tutto, tre bambini.
Lei ha capito, ne sono sicura. Ha pianto, si è disperata, pentita, confusa, mi ha chiesto scusa. E io l'ho anche perdonata. Succede, a volte, di essere superficiali, di sbagliare a prendere le misure.
Ma qualcosa si è rotto. E molto è comunque cambiato.
P.S. Non c'entra ma, invece, la mia famiglia (acquisita e non) è stata fantastica.

Enrico Bianchessi ha detto...

Confermo in pieno la tua tesi, Giuliana. Per quanto mi riguarda nello specifico, amici battono famiglia 10 a 0. Meglio (in parte) quella di mia moglie. Non contano i legami di sangue, contano le persone e quello che sono capaci di darti.

Anonimo ha detto...

Ciao Giuly sono Edo (il calciatore), commento qui perchè penso che tu non avresti letto il mio commento al post di gennaio. Ora gioco a basket e, dopo un anno che gioco, non ho ancora fatto un canestro. Comunque è molto bella la storia, ti ringrazio.

Giuliana ha detto...

edo, anche tu! che piacere averti qui! per la prossima volta, non preoccuparti, i commenti li leggo tutti, anche quelli ai post più vecchi, perchè li ricevo via mail.
e grazie a te, ti auguro di farne parecchi di canestri. nel caso sappimi dire, io sempre qui pronta a fare la cronaca delle tue prestazioni sportive ;)

PsychoGaia ha detto...

Questo post è commovente. E non può che trovarmi immensamente daccordo...ma della mia famiglia (marito e miei fratelli, cioè la mia famiglia VERA) non posso lamentarmi.
A volte mi sento io la colla. Magari qualche volta sono invandente, ma non sto se non ho sentito, almeno una volta al giorno, mia sorella e la compagna di mio fratello (che tra donne la comunicazione è più facile, ma è il mio modo di dire anche a lui che gli voglio molto bene). Io ci sono per loro e loro ci sono per me. Più di tutto.