Tanto tempo fa lavoravo con un cliente che usava spesso l’espressione “fa senso” per intendere che una cosa “aveva senso”. All’inizio mi faceva abbastanza senso (nell’accezione corrente, cioè mi faceva schifo) questa che avvertivo come una storpiatura gratuita della lingua; col tempo ho imparato ad apprezzarla. Un po’ perché opporvisi era comunque una battaglia persa, e un po’ perché nel “far” senso, a prescindere dalla polisemia, c’era l’idea della costruzione di questo benedetto senso, e dunque il fatto che spesso il senso sia frutto di un lavoro, di un pensiero.
Ora, si potrebbe parlare una settimana dell’argomento senza esaurirlo. Greimas ci ha dedicato una vita di studi, ed è giunto giusto giusto a dire che al senso ci si può avvicinare, mai coglierlo del tutto.
Quello però che volevo dire è un bel po’ distante dalle diatribe accademiche, ed è, molto semplicemente, legato a delle riflessioni che sempre più spesso mi viene da fare.
La mia decisione di lasciare il lavoro “sicuro” che avevo è molto legato a questo discorso. Semplicemente, non ne vedevo più il senso. Non capivo il perché di certe cose che riempivano le mie giornate lavorative. Ho cambiato per questo: per ritrovare il senso del mio lavoro. E questo ha significato ragionare su molte cose.
Se è evidente per tutti che è necessario trovare un senso per le proprie azioni quotidiane (se no si va in depressione), assai meno chiaro è il valore del senso per i brand. O meglio: spesso il senso di un’azione di comunicazione (una campagna pubblicitaria, una promozione, anche un sito web) risiede esclusivamente all’interno di se stessa, banalmente e per semplificare molto, in un budget, una riga su un foglio excel. Si parla quindi di azioni strategiche (di lungo periodo) per l’azienda, che sono tattiche (di breve termine) per le persone. Ecco, questo non fa senso. Non fa senso per i brand stessi, ma a lungo andare non fa senso neanche per chi ci lavora (Non so come siete messi voi, ma per quanto tempo potete tollerare di affannarvi dietro a cose che non significano niente se non per se stesse?).
Ma come si fa? Proviamo a pensarci. Innanzitutto c’è il linguaggio: parlare di strategia è spesso fuorviante, sovente non si tratta di altro che di packaging di un’idea. Poi il pacchetto si apre, e la festa è finita. Beh, una strategia non è questo. È la creazione di un mondo attorno all’idea, un mondo destinato a durare nel tempo e diventare “il modo di parlare” della marca. Sul lungo periodo, chiaro.
Per questo proviamo a cambiare le parole: non parliamo di strategia, parliamo semplicemente di piano di lungo periodo. Piantiamola con le tattiche, adottiamo solo operazioni, iniziative, attività, di breve termine.
E poi, ricordiamoci che ogni attività di comunicazione è un momento prezioso di attribuzione di senso. Siamo noi che decidiamo il perché di certe decisioni, di certe scelte. E non per noi (il brand, ma anche l’agenzia, attenzione, perché c’è anche il caso che certe operazioni servano solo all’agenzia), ma per le persone che stiamo coinvongendo, quelle che nella nostra prassi tanto consolidata quanto malata chiamiamo target e che dovrebbero essere naturalmente attratte da quanto andiamo dicendo.
Mettiamoci dentro del senso. Guardiamoci allo specchio e chiediamoci se quello che stiamo mettendo in piedi ha senso per noi, come persone, consumatori, attori del mercato. Davvero dovrei aver voglia di andare su un certo sito? Davvero dovrei riconoscermi in una certa campagna pubblicitaria? Davvero dovrebbe interessarmi partecipare a un certo concorso? Sì, no, mah. Allora rimettiamoci al lavoro: il senso non c’è, quindi non c’è neanche valore. E così via, su tutto.
Da un po’ di tempo posso lavorare solo a queste condizioni. Solo così il lavoro mi fa senso.
10 commenti:
makes sense :-D
hey ma questo e' il mio inglitaliano :-)
di corsa fa senso ;->>>
Senza sminuire il contenuto del tuo bel post (che ha molto senso), secondo me il tuo cliente voleva semplicemente tirarsela. It makes sense, fa senso. Ahò.
@mdims: il mio cliente mi ha beccato, e abbiamo avuto uno scambio assai interessante (altrove) sull'argomento. abbiamo convenuto che si è realizzato un rarissimo caso di semiosi perfetta :)
Perché non fissiamo un breafing per fare un brain-storming? No problem per il target, ma per il set work in progress fino al prossimo time out. Personalmente l'imaging non mi convince.
Sono capitata sul tuo blog "per caso", linkando qua e là. Così all'improvviso, mi trovo a leggere questo post, ed è quasi un'illuminazione per me, "giovane" donna/mamma/blogger/comunicatrice sfrenata che vuole lasciare, forse, tra mille dubbi, incertezze e sensi di colpa, il suo sicurissimo lavoro per fare...BOH? cosa? Qualcosa che "faccia senso"...
Insomma, grazie per questo post, che mi ha fatto sentire un po' meno sola...un po' meno pazza:-)
più che altro mi "fa" senso questa riflessione su cosa fanno le parole se usate un pò troppo a caso. ma anche qui l'incontro sul termine che permette di dargli un nuovo significato, più pertinente, è decisamente interessante.
ma a quest'ora è difficile usare cervello e parole con proprietà ...
Mi spiace aver letto questo post adesso e non prima di ieri. Ne avrei parlato volentieri o forse lo abbiamo cmq fatto tra le righe. Tutto quello non make sense, tutto questo lo fa eccome. Spero di trovarlo, ooops farlo anche io.
PS prox volta prendi anche tu quella torta di pere e ciocco piena di senso...
per quanto riguarda la forma, c'è di molto peggio (soprattutto i verbi inglesi declinati in italiano: challengiamo, swicciamo, shiftiamo e così via. potremmo scriverci un libro insieme..)
per quanto riguarda la sostanza, questo è un gran bel post che accomuna tutti quelli che, come te, a un certo punto hanno fatto una scelta, quella di andare per la propria strada. Ma perchè non l'hai postato (anche) là dove sarebbe la sua casa ideale...?
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