Mille anni fa, alla mia prima esperienza di condivisione di un appartamento, abitavo con una ragazza molto simpatica e molto bella, conosciuta in un bar vicino all’università. Eravamo talmente diverse che la nostra diversità non si può descrivere, ma la convivenza fu da subito molto piacevole (più tardi sarebbe diventata una bella amicizia). Dopo alcuni mesi di condivisione di spazi e tempi di studio e posto in autobus per andare a lezione, una mattina lei mi disse con tono cupo che doveva dirmi una cosa, ma era una cosa “un po’ pesa”, disse proprio così. Ma non aggiunse null’altro. Quel pomeriggio si chiuse in camera per un tempo lungo anche per lei, poi si caricò addosso il borsone della palestra e, mentre era sulla porta, mi consegnò un papiro. Era una lettera di 6 pagine, nella quale mi raccontava la cosa pesa. Quella sera la passammo a parlare. E da quel pomeriggio capii che l’abitudine di scrivere delle lettere quando si doveva comunicare qualcosa di peso, appunto, era tutt’altro che morta con il liceo.
Ho scritto decine di lettere, e tante ne ho ricevute, fin dal momento in cui ho imparato a tenere una penna in mano. E poi, quando è arrivata l’email, ho fatto lo stesso ma senza usare la penna. Non con la frequenza del liceo e dell’università, ma pur sempre. E questa cosa mi affascina.
È che scrivere ti consente alcune cose che parlare non ti permette.
Puoi tenere il filo del discorso senza essere interrotto. E quindi non incespichi, non ti perdi nelle incidentali, non parti per la tangente, non cambi idea intanto che stai esprimendo un concetto.
Ti senti protetto. E quindi dici cose che a parole non diresti mai, ma che, opportunamente mediato da un canale altro, puoi dire.
Hai uno spazio anche tra le righe. Letteralmente. Tra le righe ci sono i non detti, che ci sono anche in un discorso verbale, ma che qui tu puoi calcolare. Insomma, più o meno. Poi, ovvio, c’è sempre il discorso dell’interpretazione, su cui però ci sono diverse scuole di pensiero: c’è chi dice che nel testo c’è già tutto, e chi invece sostiene che il grosso lo fa il lettore (adesso lo so, mi ritirano la licenza).
E più ci sei dentro, in quello che vuoi dire e nella relazione con la persona a cui lo vuoi dire, più la scrittura diventa irrinunciabile.
Per esempio. Nel tempo mi è capitato di conoscere alcune persone che sono subito finite nella categoria “speciali”. Per me. Speciali perché vi ho riconosciuto un raro livello di affinità e una straordinaria compatibilità. Speciali perché passerei ore a parlarci senza annoiarmi, e rimarrebbe sempre qualcosa da dire. Sono persone la cui presenza non interferisce con tutto il resto, e che anzi col resto si integra. Per dire, puoi andarci in vacanza insieme, con una persona con cui hai una relazione così, e nessuno (mariti, mogli, fidanzate, fidanzati, figli e chi più ne ha) ne soffrirà, anzi, saranno tutti un po’ più ricchi e felici. Credo che capiti a tutti, quelle due o tre volte nella vita. E se non capita è un vero peccato.
E insomma con queste persone come comunichi? A parole? Anche. Ma spesso è difficile, perché non siamo abituati a parlare dei sentimenti (quante volte vi è capitato di dire a un amico “ti voglio bene”? eppure è proprio quello che provate), perché se appena appena perdi il filo il rischio che venga fuori un casino (della serie che altro che vacanze insieme: a schifìo finisce) è altissimo. (Nel caso specifico, non mi risulta che le persone di cui parlo e che fanno parte della mia vita leggano il mio blog. Dovesse capitare, sarei felice che si riconoscessero). E allora la scrittura diventa un modo, e allora si scrive. Su strumenti i più vari (anche skype, se non lo usi in voce, è scrittura. Ma questa affermazione merita un post), ma si scrive.
Insomma, io scrivo. E voi?
UPDATE
Pubblico e poi ci ripenso. In effetti è una modalità adolescenziale, tutto sommato. Però mi chiedo una cosa. In fondo noi passiamo una quantità di tempo incredibile scrivendo, in varie forme: professionale, attraverso SMS, social network ecc. Allora che male c'è, anche in un'età non esattamente verde, a riappropriarsi della scrittura come forma di espressione completamente personale (che non significa scrivere in un blog, da uno a tanti, ma proprio da uno a uno), in cui dare spazio ad una emotività del tutto privata? In fondo i grandi epistolari del passato non sono stati prodotti da quattordicenni...
9 commenti:
io non scrivo da un po', a ben pensarci. Una volta lo facevo, e tanto. (lasciam perdere blog, social ecc. anche se "apparentemente" scrivo tanto, forse troppo, scrivere nel senso del tuo post è un po' che non lo faccio e mi manca)
Salutoni da PZ
detto da te fa un po' sorridere, in effetti :)
salutami il bar del parco!
Forse non ho più persone a cui esprimere sentimenti così inesprimibili di persona. O forse vivere con un dislessico mi ha insegnato ad esprimermi a voce anche quando si parla delle cose più intime.
Anch'io scrivevo un sacco, prima. Adesso scrivo per necessità (per esempio con amici lontani), ma non credo di dire cose che non direi di persona.
capisco quello che dici, Lanterna. in effetti, ripensandoci, anch'io per anni ho interrotto questo tipo di comunicazione. poi, quando per caso l'ho ritrovata, è stato come se ci fosse sempre stata. proprio come quelle persone lì.
Non credo che questo senso dello scrivere sia possibile nel blogging. Mi ci hai fatto pensare e in effetti questo modo di scrivere lo condivido proprio con persone che non vivono la rete e neanche la capiscono o desiderano tanto. E mi hai fatto pensare anche a un'altra cosa...che un tempo neanche troppo lontano il doc ed io ci scrivevamo tanto e ora non lo facciamo più. Insomma tu mi fai sempre pensare. Mo' te l'ho scritto...
Al di là del blog, io scrivo soprattutto per i miei figli. Scrivo loro delle lettere sperando che possano capire le mie scelte e i miei sentimenti quando saranno adulti. Lascio loro delle lettere come eredità di me e della famiglia che siamo.
Mi è anche accaduto in alcune occasioni importanti di regalare a Marito una lettera, pensando che fosse il dono più bello che potessimo farci.
Concordo in pieno. Le parole scritte sono più intense, più nette, più sincere, e per questo servono per dire tanto, molto di più. A voce ci si perde, un mezzo sguardo può far perdere il filo del discorso e buonanotte al secchio a tutte le nostre belle intenzioni iniziali. Se chi riceve la missiva non ha proprio voglia di stare ad ascoltare può senmpre appallottolare il foglio, o cestinare la mail, ma se la legge, la legge tutta.
Come avrai capito anche io sono una scrittrice di lettere, di bigliettini, di tutto, forse è per questo che scrivo anche nel mio pollaio. So solo che scrivendo riesco ad esprimere concetti che a voce non sarebbero gli stessi...
La cosa buffa, che mi riempie anche un po' di orgoglio, è che evidentemente questa cosa si tramanda nel dna, perché la pulcina quando ci deve dire qualcosa "di peso" ci scrive un bel romanzo! ;)
un abbraccio
Gallina
Io non scrivevo, ho provato a scrivacchiare nel mio perso blog e ora scrivo solo una frase alla volta su facebook e recensioni striminzite su <a href="http://www.anoobi.com/gianusa>anoobi</a>.
Leggendo il tuo post siè riaccesa una debola speranza e anche se tracciare e tracciarci fa parte del nostro DNA, la pigrizia la fa da padrone.
Mi sento un caso da analizzare ... Sai se esiste un santo protettore dei scrittori falliti a cui rivolgersi? :-)
Anche io scrivo e da sempre. Come dici tu è il modo per dire effettivamente quello che vogliamo senza interferenze e distrazioni.
Nella stessa misura, mi piace leggere, solo che non sono molte le persone che mi scrivono in questo modo. Sign of the times...però io un ritorno al passato lo farei volentieri...
Posta un commento