mercoledì, luglio 18, 2012

Eee, kiafà


Nella mia lingua natale c’è un’espressione che racchiude l’essenza della visione del mondo di quella parte di universo: “Eeehhh, ch’i’a fa’…” che, foneticamente, più o meno diventa “eee (molto lunga e annoiata, mi raccomando), kiafà”. Significa letteralmente “eh, che devi fare”, ma ha dentro un territorio semantico pernicioso. Vuol dire “cosa credi di fare”, “dove credi di andare”, “chi ti credi di essere per fare una cosa del genere”, “è una cazzata”, “è una perdita di tempo”, e via demolendo.

Questa espressione viene scolpita nella testa di chi nasce in Basilicata fin dalla più tenera infanzia, ad ogni manifestazione di libera iniziativa. E lavora così in profondità che quando ti accorgi di esserne stato plagiato a volte è troppo tardi. Te lo dicono i tuoi genitori, i tuoi zii, i tuoi insegnanti, i tuoi amici, i tuoi colleghi, sempre, per sempre. Vuoi fare l’astronauta? Eee, kiafà. Vuoi fare il giro del mondo in bici? Eee, kiafà. Vuoi mettere in piedi un’impresa? Eee, kiafà. Così tu te ne stai sereno a seguire il flusso, senza renderti conto che quelle due paroline hanno modificato anche l’espressione del tuo viso e si sono mangiate tutti i tuoi sogni.

Quando sono entrata in aula, lunedì, ho visto questo minaccioso “eee, kiafà” che galleggiava in aria come un’insegna al neon accesa in pieno giorno ma non per questo meno visibile. L’ho vista tatuata in fronte ai 10 partecipanti al corso, che ci hanno messo dentro la loro laurea, il loro master, la loro esperienza lavorativa, il loro futuro. E mi sono sentita come se questa scritta enorme si fosse agganciata alle mie caviglie per rendermi impossibile qualunque movimento. Poi ho preso la mia piccola fionda e ho iniziato a lanciare sassi contro il neon. Troppo piccoli, forse, ma non mi sono fermata un attimo.

Il terzo giorno di lezione i miei 10 compagni d’avventura, dopo una pausa, mi hanno detto che volevano aprire un blog. Lo dicevano ridendo, sullo sfondo un “eee, kiafà” già un po’ più piccolo di quello del giorno prima, ma si vedeva che si aspettavano che io glielo avrei restituito. Invece non l’ho fatto. Ho cambiato programma e abbiamo iniziato a lavorare su questa cosa così assurda, incredibile, inarrivabile, inutile (nella visione dell’”eee, kiafà”), che è un blog collettivo. Adesso il blog è in mano a loro, è nato ma ancora non parla (e non lo linko per questo), ma spero davvero che venga fuori come merita, come meritano loro. (Il blog in fondo non è così importante, è solo che sostituisce l’asfissiante “eee, kiafà” con un “si può fare” in cui si respira).

Poi ci ho pensato. E credo un “eee, kiafà” sia sulla testa di tutti, in questo momento, al di là della latitudine. Un “eee, kiafà” enorme, che ci vuole risucchiare tutti nelle sue sabbie mobili. E ho ricaricato la fionda.

4 commenti:

Maurice ha detto...

Verissimo. Lo dico da tempo: con questo entusiasmo non andiamo da nessuna parte. Non è l'entusiasmo posticcio a 38 denti posticci in favore di telecamere solo di qualche mese fa, ma la consapevolezza che se non ci inventiamo qualcosa, non riusciremo mai a venirne fuori.
La classe dirigente - governo, parlamento, imprenditori - hanno il compito di guidare la marcia, ma ognuno di noi deve mettersi in cammino.
Mi viene adesso un sospetto: non è che in questo veder nero qualcuno ci gode e ci guadagna?

abc ha detto...

Anche il tuo essere una "lucana all'estero" (ti stimo e ti leggo da sempre, lo sai!)suscita il mio laconico "eee, kiafà"!
Attenzione, però, non demolisce nulla: riferisce solo della matura ed irrinunciabile consapevolezza di cose a cui - giocoforza - bisogna rassegnarsi.
Anche a quella lucanità che non sa essere consapevole di se stessa.
Mi spiace. Mi spiace davvero.
E contro questo iroso rapporto con le proprie origini non ci sono fionde da ricaricare.
La storia, quella autentica, è il solo grembo in cui cercare nutrimento.
Shalom

Giuliana ha detto...

@maurice: certo che c'è chi ci guadagna, sia nel caso della basilicata che, più in generale, nel nostro paese tutto intero. demolirlo è complicato, però.

@abc: non ho mai fatto mistero dell'ambivalenza verso le mie origini. del resto sono nata anch'io con dentro il kiafà. solo che allontanandomi ho imparato a riconoscerlo, cosa molto complicata finché sei là.
la fionda ci vuole eccome. non modifica il rapporto con le radici, ma lo rende compatibile con la strada che ciascuno sceglie.

abc ha detto...

Anch'io non sono più là.
E vi osservo entrambe, te e la nostra terra.
Un sorriso e a presto.