mercoledì, maggio 29, 2013

Parole dette e non dette, come è andata a finire

“Perché quando mamma e papà sono arrabbiati se la prendono con me?”
“Che cosa devo fare se amo una ragazza? Glielo devo dire?”
“Perché quando scuoti il pene lui si ingrandisce?”

Sono alcune tra le domande fatte dai bambini durante il percorso di Parole dette e non dette, il progetto di prevenzione dagli abusi svolto nelle quarte classi della scuola di mio figlio, di cui ho parlato qui.

Domande sulle relazioni, sui sentimenti, sulle emozioni, quasi mai sulla sessualità. Che forse è una cosa ancora lontana per dei bambini di 9 anni, l’età target dei pedofili, come ci ha ripetuto la psicologa dell’associazione L’Ombelico, l’ennesima volta che le veniva chiesto: “Perché proprio in quarta? Non è troppo presto?”.

Domande da cui emerge che noi, le famose famiglie normali, siamo talmente orientate al fare che ci dimentichiamo del sentire. Grandi e piccoli, indistintamente. Tanto che, ci raccontava la dottoressa, durante un incontro con dei genitori era emerso che loro, gli adulti, non sono mica più in grado di riconoscere e riprodurre delle emozioni, per quanto familiari esse siano. Come se questo mondo non fosse funzionale alla vita. Come se davvero ci illudessimo di poter non farle trasparire, le emozioni, da ogni gesto, da ogni parola, da ogni scambio con gli altri.

Eppure nel riconoscimento delle emozioni e nell’uso dell’istinto sta la prima difesa – per i bambini dai pedofili, e per gli adulti, mi viene da dire, da tutti gli abusi a cui nel tempo siamo esposti.

Che cosa significhi fare educazione emotiva io non lo so. Non era prevista nel protocollo della mia famiglia, proprio come l’educazione sessuale. Tanto che poi, quando mi sono fatta la mia, di famiglia, forse ho esagerato nella direzione opposta, e non perché ci avessi meditato o ci mediti quotidianamente, ma proprio perché mi è venuto così, naturale. Suppongo che gli effetti di tutto ciò saranno misurati a tempo debito dall’analista di figlio, un giorno, giacché non mi aspetto che potrà permettersi di farne a meno. Ma le cose che costui dovrà analizzare saranno il contrario di quelle che ha analizzato il mio.

Una delle cose riportate dalla psicologa è che si sta creando, nelle scuole in cui si fanno questi corsi, una cultura del rispetto – del corpo e delle emozioni – che è di supporto a tutto: dalla prevenzione alla pedofilia, al bullismo, alla violenza di genere. Questi bambini sanno, conoscono, capiscono. Faranno? Si spera.

Sono cambiate alcune cose tra questo incontro, dedicato alla restituzione di quanto è stato fatto, e il primo, di presentazione del progetto.

Innanzitutto c’erano alcuni papà. Tre o quattro, siamo ancora lontani dalla media consueta di partecipazione paterna alle attività della scuola, ma è già un successo. Magari sapere cosa sanno i bambini è più facile da affrontare – anche per un papà – che sapere cosa stanno per sapere. La paura dell’ignoto non è appannaggio delle donne.

Abbiamo ascoltato le parole dei bambini (tutti rigorosamente anonimi, ovviamente) attraverso il momento finale del progetto: la consegna era scrivere una lettera ad un amico, reale o immaginario, in cui gli raccontavano del progetto. Queste lettere ci hanno fatto pensare molto, ci hanno fatto sorridere, a volte, ci hanno persino fatto rosicare, quando due o tre lettere sembravano scritte, in ordine sparso, da Calvino, da Guido Gozzano e da Pennac (che lo so, mio figlio non scriverà così neanche al liceo. In compenso ha un senso del ritmo che Calvino se lo sogna).

E poi l’atmosfera, in generale, era molto più rilassata. Un po’ da “quello che è fatto è fatto”, per intenderci. Come l’ultimo giorno di scuola, come quando si pubblica un progetto che ci ha fatto molto penare, come quando ci dicono che la persona a cui teniamo è fuori pericolo. Poi ci saranno degli strascichi (qualcuno si porterà una materia a settembre, ci chiederanno sicuramente un sacco di modifiche, la persona a cui teniamo dovrà ancora curarsi), ma che fa. Per oggi è tutto a posto.

Se non è previsto, nelle scuole dei vostri figli, chiedetelo. Qualcosa mi dice che fa un gran bene, non solo ai bambini.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Avete dovuto pagare per il progetto ? Grazie, Anna

Giuliana ha detto...

Sì, è stato un progetto pagato dalla scuola. Non ho idea delle cifre, però. Consigliatissimo.