martedì, novembre 14, 2006

Quando ai Tropici fa freddo

C’è un tipo di freddo particolare, che non ha niente a che fare con la temperatura, ma che c’entra solo con il luogo in cui ti trovi. La temperatura può essere tropicale, il luogo è l’ospedale. È il freddo che ho sentito quando mio figlio, di un anno e mezzo, era in un lettino con la maschera d’ossigeno. C’erano 28 gradi in quella stanza, ma non ho potuto togliermi di dosso la giacca a vento. È il freddo che ho sentito ieri sera, mentre aspettavo che mio marito uscisse dalla sala operatoria. Gli infermieri mi guardavano incuriositi, io ero seduta su una panca nel corridoio della chirurgia d’urgenza e me ne stavo a leggere con il cappotto addosso.

Mio marito è stato operato alle 10.30 di ieri sera. Non c’erano letti e quindi fino all’ultimo non ci hanno detto se avrebbero fatto l’intervento o se lo rimandavano a stamattina. Poi hanno trovato una barella, e la situazione si è sbloccata. Dopo un’intera giornata passata a girare tra i padiglioni, sballottati da un reparto all’altro, il tutto intervallato da pochi momenti lontani dall’incertezza, quelli in cui effettivamente Alberto veniva sottoposto a visite ed esami. Un paio di volte ci siamo sentiti rispondere: “Io sono di [nome di un reparto o di una specialità], non so niente, ma non è qui”. Fantastico!

E così è venuto fuori il mio vecchio contenzioso con la Medicina convenzionale: non con la Sanità, che è affare diverso e che con la gente non c’entra niente, ma proprio con la Medicina e con il modo di esercitarla.
Non ho molti amici medici, e un solo medico amico. Il quale è un personaggio di circa 60 anni, tutt’altro che rassicurante e difficilmente interpretabile. È neurologo, specializzato anche in psichiatria e pediatria, ma guai a definirlo neuropsichiatra infantile; ha studiato a Bologna, dove ha anche insegnato per un po’ (poi ha litigato con tutti, Rettore compreso) e negli Stati Uniti, e l’Italia è per lui una condanna; però odia volare (si fa di sostanze psicotrope quando deve), e vive nella casa di famiglia in campagna, lontano 40 km dalla via di comunicazione principale più vicina. Ha 7 studi sparsi in giro, dal Piemonte alla Calabria, con una fitta copertura dell’Italia centrale; in verità si fa ospitare in 7 studi (ma forse sono di più, il mio ultimo censimento è piuttosto datato), perché man mano che gli portano dei pazienti, quando si crea un gruppo abbastanza omogeneo – geograficamente parlando - va lui da loro, almeno una volta ogni due-tre mesi.
Gira per convegni con per lo più il ruolo di guastatore, ce l’ha con le case farmaceutiche “che mercificano la ricerca” e con i giovani medici “che vanno a lavorare in ospedale per non assumersi nessuna responsabilità”. Lui invece è anche medico della NATO, e le sue responsabilità se le assume eccome. Tanto che ha fatto da perito di parte (della difesa) in un processo per omicidio volontario: un padre ha fatto fuori con un colpo di pistola l’anestesista che ha provocato danni permanenti a suo figlio, operato a una gamba per un incidente stradale. Ora il ragazzo è un vegetale, e il padre praticamente pure. E lui, il mio medico amico, non ci dorme per questa storia.
Legge i Padri della Chiesa e Sant’Ignazio di Loyola, ma non è un cattolico praticante: il suo è un interesse puramente scientifico. Da buon ex psicanalista, cita Freud a memoria, essendone uno dei maggiori esperti viventi, ma odia profondamente la psicanalisi, la psicologia, e qualunque altra disciplina che cominci per -psic. I suoi pazienti li chiama per nome, ne conosce le famiglie e cura tutti i membri, perché dietro ogni problema c’è sempre un problema anche ambientale, e spesso è necessario sradicare quello per capire cosa non va. E quindi quando vai da lui ti sembra di andare, appunto, dall’analista.
Non ama le analisi, gli esami, la diagnostica invasiva e la medicina nucleare; perché prescriva una di queste cose bisogna che sia proprio l’ultima spiaggia, altrimenti fa lui, con uno stetoscopio e un diapason, e un apparecchio per la pressione di quelli a pompetta. Detesta lavorare con altri medici, li considera tutti ignoranti di ritorno, gente che ha dimenticato quello che aveva imparato all’Università e che si è specializzata così tanto nella sua materia da essere arrivata a sapere tutto di niente (il contrario di niente di tutto, l’assoluta despecializzazione).
E lui è uno che se gli dici che hai male a un ginocchio ti chiede se sei stato operato di tonsille da piccolo, e poi ti spiega perché le due cose sono correlate, e il suo discorso sta in piedi, e non ti prescrive farmaci ma sostanze naturali (spesso difficilissime da trovare) che, nessuno sa come né perché, ti rimettono a posto il ginocchio o quello che è. Dall’altra parte, ha un carattere veramente di merda, facile alla collera come un bambino di 2 anni o un vecchio di 80, spesso depresso e, forse, con tendenze suicide. In vent’anni che lo conosco non ha mai cannato una cura. Ecco, perché lui cura e guarisce, non fa solo una delle due cose. E soprattutto ti fa capire che il corpo umano non è fatto di pezzi che vivono indipendentemente l’uno dall’altro, ma è un tutto indivisibile. La vera visione olistica della medicina.

Nelle nostre peregrinazioni di ieri, ci chiedevamo appunto perché non ci sia nessuno, a parte qualche cane sciolto come appunto il mio medico amico, che quando ti visita abbia a cuore tutto te, non solo l’organo che in quel momento è caduto nella sua circoscrizione. A pensarci bene, c’è stato solo un momento della mia vita in cui avevo un medico di riferimento che mi guidava per tutto, ed è stato durante la gravidanza. Lì il ginecologo (pagato privatamente, quindi voglio vedè che faceva pure storie!) era diventato una sorta di regista della mia vita sanitaria, in questo periodo così delicato. Con qualche esagerazione, forse (non c’è essere “sano” più medicalizzato al mondo di una donna incinta in Italia), sul fronte della diagnostica (preventiva), ma almeno sapevo che per qualunque cosa, anche un’influenza, potevo rivolgermi a lui. Prima e dopo, niente. Ti sistemano un pezzo e te ne sfasciano un altro. Ti risolvono un problema e te ne spuntano altri tre. Fanno una parte della cura ma l’altra parte “non è di loro competenza”. E così via, sempre più specializzati e sempre meno umani, sempre più stanchi e restii alla comunicazione, sempre più arroccati nella loro torre d’avorio, che quando gli parli ti fanno sentire un cretino con pretese assurde.

Alberto dice che in realtà forse anche loro, i medici, sicuramente provano una maggiore soddisfazione professionale quando parlano con persone che sono realmente interessate a quello che dicono, piuttosto che con gente che è contenta solo se va a casa con chili di prescrizioni. Non so, a me non è mai capitato. A parte, naturalmente, con il mio medico amico.

Che il freddo di ieri sera fosse il freddo del silenzio, della non comunicazione? Che fosse per caso il freddo della specializzazione?

10 commenti:

lemoni ha detto...

Giuli, questo tuo post mi ha fatto ripensare al freddo che provavo i primi mesi che ho cominciato a scivere il blog ed al motivo per il quale ho cominciato a sciverlo.Nonostante fossimo quasi in estate, ricordo che durante la mia ricerca spasmodica di capire cosa avesse Micol alle gambe, tra dottori e mie richieste di aiuto a blogger prole muniti, mi battevano le brocchette (come diciamo noi romani) dalla paura e dall'ansia.
La mia zattera è stata parlare.Confrontarmi. Avere segnalazioni su quali siti potermi documentare. Comunicare.

Hai tutto il mio appoggio e la mia solidarietà.
Visto che ho il vizio di pregare per la salute di tutti (Lassù ogni tanto alzano gli occhi al sopraCielo perchè esagero in preghiere!) metto dentro anche tuo marito...posso?
Ti abbraccio
Graziella

Giuliana ha detto...

ma certo che puoi, anzi non chiedo di meglio! sei così carina, grazie...
ti abbraccio anch'io

Anonimo ha detto...

Giuliana, io non prego. Però volevo sapere lo stesso come sta tuo marito....che in tutto sto frangente ti sei scordata di scriverlo!
Un abbraccio affettuoso

Giuliana ha detto...

come sta, come sta... molto abbattuto, sicuramente, ma l'intervento in sé non era complicato, solo che ha un decorso di solito lungo e doloroso.

grazie! mi fa bene la vostra presenza, non avrei mai pensato che un blog potesse servire anche a questo.
graziella, sei saggia :-)

Anonimo ha detto...

Il freddo...già, l'ho sentito anch'io leggendo il tuo post, Giuliana.
Mi si sono accavallati nella mente all'improvviso ricordi sparsi, riconducibili agli ultimi 5-6 anni, esperienze dirette col mondo della sanità pubblica e privata dovuti a varie circostanze familiari e personali.
Il filo rosso che le unisce tra loro potrebbe passare anche da te, e quel filo si chiama INDIFFERENZA. L'indifferenza per il dolore e la sensibilità del paziente.

La notte, per fortuna, non è mai infinita.
Auguri!

TZ

Labelladdormentata ha detto...

Quel freddo purtroppo mi torna abbastanza spesso, da quando mia figlia è stata operata la prima volta lo scorso anno, e mi torna ogni volta che devo telefonare all'oncologa per concordare gli appuntamenti dei controlli!
Hai ragione, cara Giuliana, riguardo alla medicina tradizionale. E credo anche di conoscere il tuo amico medico, del quale, indegnamente, cerco di ripercorrere le orme, anche se presso altra scuola.
Spero che tuo marito si stia riprendendo, e se alla medicina ufficiale unirete anche l'altra, sicuramente guarirà molto più in fretta e in maniera molto più profonda. Ti abbraccio.

Giuliana ha detto...

titti, più che indifferenza credo che sia proprio impotenza. l'altra sera si è fermata vicino a noi un'anestesista, e diceva che stava lavorando da 14 ore, e che quindi non poteva proseguire per la notte. non so, tutti mi hanno dato l'impressione di essere umanamente disponibili, ma impossibilitati da una situazione contingente veramente difficile.

labelladdormentata, sei un medico! davvero lo conosci? e pensi anche tu che più che originale sia matto da legare? :-)

a tutti un grazie enorme, non avrei mai pensato che il blog potesse diventare un luogo così giusto per scaldarsi...

Labelladdormentata ha detto...

Giuliana, vedi i miracoli che fa la medicina alternativa? Permette di tirare fuori il meglio di sè anche in situazioni che tutto il mondo ritiene anomale! ;-)

Enrico Bianchessi ha detto...

Quando ero bambino, e anche un po'più tardi, avevo il mito del medico, era la professione che sognavo. Oggi li guardo, li sento, li vedo all'opera e ringrazio Dio perchè non ho potuto farlo e non sono diventato così.. e con un brivido (anche quello di freddo) mi chiedo se sarei davvero diventato così anch'io. Un saluto e un augurio di cuore a tuo marito. Enrico

astralla ha detto...

Sono con te...
Quel freddo lo conosco e non serve il tuo amico medico per capirlo.
Tanti tanti in bocca al lupo al tuo marito e a te che aspetti, sperando che il freddo passi presto.
Un abbraccio