martedì, marzo 16, 2010

Sai come me lo immagino?

Non avevo parlato dei progetti in corso di The Talking Village perché questo è uno spazio da cui vorrei che il lavoro rimanesse fuori. Ovvio che di lavoro parlo spesso, ma solo nella misura in cui si tratta di riflessioni, del tutto private, in merito. Adesso quindi ci sta che ne parli, perché, al di là del progetto, è sulle riflessioni che vorrei soffermarmi.

Insieme a Now Available, un’agenzia di comunicazione che si definisce neutrale (prima della fine del progetto glielo chiedo, esattamente cosa intendono, ai miei tempi si diceva “laica” per esprimere lo stesso concetto, se non erro), e che anche per questo mi affascina, abbiamo messo in piedi quest’idea parecchio ardita: far progettare un sito alle persone che lo useranno. Il brand è Nesquik, e il progetto si chiama, appunto, Sai come me lo immagino?, in omaggio alla prima cosa che si dice in agenzia quando si inizia a pensare a un nuovo sito. Ora del progetto non parlo più, andate a farvi un giro se vi viene la curiosità, noi ci stiamo divertendo parecchio, ma questo non rileva.

Fatto sta che alcuni giorni fa Veronica, che ci sta dando una mano su un bel po’ di cose, ha lanciato la cosa su Facebook, dal suo profilo. E qui è partita la conversazione.

La discussione aveva due oggetti:
1) quella fetente della Nestlé
2) quei fetenti come noi che fanno lavorare le persone per far risparmiare l’azienda

Delle persone che sono intervenute sollevando le due questioni ho la massima stima. Non le cito perché non so se hanno voglia di essere citate. Ovviamente ho risposto – più o meno fino a che ho mollato baracca e burattini per raggiugere Alebegoli e Luisa con cui mi sono accompagnata per andare alla GGD. E comunque mi sono riservata di tornarci. Ed eccomi qua.

Sul primo punto (quella fetente di Nestlé) non ho molto da dire, se non che rispetto tutte le scelte. Non sono d’accordo con i boicottaggi perché ritengo che non potranno mai raggiungere una massa critica abbastanza sensata da mettere veramente in crisi le aziende che vogliono colpire, e anche perché il noglobalismo aprioristico non è la mia tazza di tè. Faccio un mestiere che giocoforza mi porta ad avere molti più contatti con le multinazionali che con le aziende del territorio. Un po’ mi dispiace, perché lavorerei volentieri con le aziende del territorio, ma dal momento che così non è, non oso sputare nel piatto in cui mangio, fuor di metafora.

Sul secondo però mi sento chiamata in causa.

Sono d’accordo su molte cose: sul fatto che il lavoro vada pagato, naturalmente, e come prima cosa. Ma anche sul fatto che la community non deve essere sfruttata (che poi, quale community si fa sfruttare?). E così via. Però credo che la questione sia mal posta.

Iniziamo col dire che un progetto come questo, di co-creazione, non rappresenta un risparmio da parte dell’azienda. Anzi. Nel caso specifico, l’azienda si sobbarca le spese per consentire alla community di parlare e poi quelle che ci vorranno per fare il sito. Non entro nel merito, ma alla fine spende un bel po’ di più che farsi fare il sito e basta. Mi sembra lapalissiano. Pensare che il prodotto del progetto sia talmente finito da non necessitare del lavoro dell’agenzia è quanto meno ingenuo: alla fine, se saremo stati bravi, avremo tante idee da riordinare, ragionare, sistemare, e sulle quali costruire. Questo svilisce il lavoro di chi i siti li fa di mestiere? Sarebbe come dire che il loro lavoro è svilito allo stesso modo dai focus group, dalle ricerche quantitative, dalle analisi di usabilità. E non mi pare proprio. L’unica cosa che succede è che invece di ragionare su presunzioni e idee – per quanto precise – sul target, stavolta sono le persone che dicono di cosa hanno bisogno, che cosa davvero si aspettano. E se non vogliono proprio niente, pace: se ne prenderà atto, sarà comunque servito a qualcosa. L’idea di base è semplice: Nesquik farà un sito dedicato ai genitori, quindi possiamo decidere di farglielo fare come vogliamo noi, oppure beccarci quello che ci passerà il convento quando sarà fatto e calato dall’alto. Personalmente preferisco la prima ipotesi.

Gli utenti lavorano aggratise. Parola grossa. Proviamo a chiederlo ai maestri. Gli utenti lavorano aggratise su Il Mulino che vorrei? Gli utenti hanno lavorato aggratise su Quelli che Bravo e sui tanti altri progetti simili promossi da Fiat? Non saprei, credo di no, ma dite voi. Sono andati, vanno lì, e dicono la loro. Gli si chiede di pensare, questo sì. Ma è diverso. Cioè: ogni singolo contributo è, sì, frutto di un lavoro, ma al singolo non viene certo richiesto di farsi carico di obiettivi e metodologie e quant’altro c’è dietro ogni progetto di cocreazione. Pensano: e benvenuti! Avrei pagato per poter pensare, quando lavoravo in agenzia.

Ciò detto sono convinta che certi modelli vadano perfezionati, che alla community, se si chiede, bisogna anche restituire, ma nel modo giusto, senza che nessuno si senta comprato (che è l’altra faccia della medaglia) o che si trasformi in un professionista, dimenticando di essere prima di tutto la persona a cui è destinato quel lavoro. Ho avuto lunghe e appassionanti discussioni sul tema con molte persone e molto più autorevoli di me. Ma siamo agli inizi, dateci tempo. Qualcosa salterà fuori, qualcosa ci inventeremo, che ci consenta di permettere alle persone di sedersi allo stesso tavolo delle aziende senza per questo sentirsene sfruttate. Fermo restando che chi non vuole può sempre dire di no. Fermo restando che la community può dartela su quando le pare. Fermo restando che anche queste sono cose da discutere con la community. Che spero non si senta sfruttata per questo.

Io me lo immagino così, questo lavoro.

21 commenti:

mammaAle ha detto...

stesso motivo epr il quale anche io non ho postato nulla sul mio diario!

;)

Giuliana ha detto...

mammaAle, mi spieghi, per favore? non ho capito...

Chiara Trabella ha detto...

Ti dico la mia. Che però premetto sempre di essere un po' particolare: io ci vivo nel mondo biologico-noglobal-kmzero, invece di sostenerlo a distanza.
E proprio per questo sono contenta di partecipare alla community nesquik: faccio sentire la mia voce di persona attenta all'ambiente e alla solidarietà con i produttori, tant'è che non ho avuto nessun problema a dire che, potendo, uso Equik e nessuno si è scandalizzato per questo.

Costanza ha detto...

non so, sono molto perplessa. te lo dico chiaramente, ma il mio è un discorso generale, non entro nel merito di questo ultimo progetto che anrò sicuramente a vedere.

sì, io sono una di quelle che pensa che le community in questo caso sono sfruttate. certo, so bene che posso sempre non rispondere, non partecipare... ma se lo stesso discordo di nesquick lo fanno altre 10 aziende, significa che la community viene subissata di richieste di partecipare a nuovi progetti. ok, agli utenti si chiede solo di pensare... ma chi l'ha detto che la gente ha tempo di pensare per qualcun altro, soprattutto per un'azienda? io ad esempio non ho nemmeno tempo di pensare a quello che ho in frigorifero... non avrei tempo da dedicare a progetti altrui.

con questo non voglio polemizzare, vorrei solo ribadire che le community non sono state inventate perchè diventino aggregatore di utenti per le aziende, almeno così credo.

Giuliana ha detto...

@itmom: nessuna polemica, anzi. quello che dici è molto importante per me, per tutti noi che in qualche modo stiamo cercando strade alternative per la comunicazione - nell'interesse prima di tutto della community.
sono ovviamente d'accordo sul fatto che la maggior parte delle persone non ha tempo da perdere con i progetti altrui, e questo vale per te ma anche per me.
credo anche, però, che nel momento in cui chiediamo qualcosa, in modo manifesto o no, siamo disposti a fare a nostra volta qualcosa.
ciò detto, ho scritto questo post proprio perché sento il bisogno di capire dalla comunità (dalla mia comunità, quella che frequento e alla quale mi rivolgerei senza esitazioni se avessi bisogno di un consiglio, della comunità di cui tu fai parte, per intenderci, e non di quella di questo o quel brand) che cosa può realmente funzionare, e non tanto in una prospettiva di marketing, quanto proprio rispetto alle aspettative della comunità medesima.
insomma, spero di essermi spiegata. lungi da me sollecitare persone che non hanno voglia di essere coinvolte: l'obiettivo è comprendere cosa è importante per loro.
grazie, e no, il tuo non era un intervento polemico, al contrario, lo trovo estremamente costruttivo.

Giuliana ha detto...

@lanterna: ho apprezzato molto il tuo outing in un contesto in cui sarebbe potuto sembrare "fuori". non è successo niente perché non avrebbe avuto alcun senso che succedesse qualcosa: siamo tutti consapevoli di quello che succede fuori dal mondo delle multinazionali, tra le persone che fanno scelte diverse, e nascondere la testa nella sabbia non serve.
grazie.

Maurizio Goetz ha detto...

ciao Giuliana,

al convegno che ho contribuito a co-organizzare allo IULM sul Crowdsourcing è emerso chiaramente che uno dei rischi di questo modello è il possibile sfruttamento della community, per questo il processo di engagement è davvero molto delicato. Nella gran parte dei progetti, la motivazione alla partecipazione non è chiara. Ti sei chiesta davvero perchè qualcuno dovrebbe partecipare per rifare il sito Nesquik? So che la domanda te la sei posta, ma chieditelo nuovamente.

Giuliana ha detto...

@maurizio goetz: intanto grazie per il tuo intervento, inutile dirti quanto è importante.
poi, entrando nel merito, certo che ci siamo posti la domanda, ripetutamente, anche. la risposta più importante di tutte è anche la più autoreferenziale: chi partecipa ha voglia di contribuire a creare valore per sé, oltre che per l'azienda. comprendo perfettamente che non si senta il bisogno di un altro sito dedicato ai genitori, ed è per questo che, stavolta, l'opportunità è quella di dire la propria, di esporre il proprio pensiero, compreso quello, se fosse il caso, che non ci interessa.
tutto qua. è troppo ingenuo?

piattinicinesi ha detto...

Giuliana, intanto grazie per aver aperto questa discussione, perché credo che i problemi sollevati meritino davvero un approfondimento,e se non sono intervenuta su FB è stato soprattutto perché avevo uan connessione lentissima che non mi avrebbe permesso di esprimermi e replicare in modo adeguato.
riguardo al primo punto, anch'io sono nella posizione di Lanterna. da anni non compro il nesquik e privilegio quando e quanto possibile aziende con comportamenti etici (le limitazioni non sono casuali, nel mondo global in cui viviamo fare la cosa giusta è diventato davvero difficile). ma non rinuncio a mettermi in gioco, alla possibilità di dire la mia in un contesto e in un modo che fino a qualche tempo fa mi sarebbero stati preclusi, ad imparare con le grandi aziende delle strategie che posso usare con le piccole.
sul secondo punto, quello della community, rimango in attesa.
sono da sempre refrattaria alle community chiuse e mi sento molto "liquida" e "post moderna" nel pensare che le communities attuali sono fluide e aperte. io posso appartenere a una community di amamme ma anche a una di scrittori per bambini e a un'altra di markettari, per dire. qual è il vero ruolo della community nel dialogo con l'azienda? sarà il tempo e l'esperienza a stabilirlo. secondo me la community in grado di dialogare con l'azienda è quella che ha interesse vero per l'azienda, o il brand. persone appassionate di cucina per la pasta, motociclisti per le moto ecc. lì secondo me si può creare un vero valore, che porta vantaggi a tutti.

Paola ha detto...

Cara Giuliana,
buono il tuo tè. La mia è una posizione anzi forse troppo sbilanciata su versante opposto rispetto a qualcuna di quelle che hai descritto. Il concetto stesso di "sfruttamento" mi crea qualche problema, se applicato a una comunità di consumo, tanto mediatico quanto di beni alimentari o di altro genere: la quale secondo me è da sempre, prima ancora di diventarlo esplicitamente, la vera artefice delle caratteristiche dei prodotti, che non solo non subisce come target "passivo", ma con i suoi comportamenti indirizza, orienta, promuove o boccia. La penso così, ad esempio, sulla platea degli spettatori televisivi (non io, naturalmente, ma gli Audience Studies, che mi convincono più di tante posizioni televisiofobiche), figuriamoci su una di navigatori: ai quali il progetto TTV chiede secondo me nient'altro che di portare al livello esplicito (e di diretta efficacia) quella conversazione che già sotterraneamente scorre.
In generale, non riesco proprio a condividere il sospetto sull'idea stessa di "consumo", che secondo me anima questo tipo di posizioni, e suggerisce termini correlati come "sfruttamento".
Paola

Flavia TTV ha detto...

Ho un turbine di pensieri su queste cose e non è facile riassumere, quindi vado con le prime considerazioni con cui mi sono alzata stamattina. Primo, le aziende. Sta venendo su un nuovo modello economico in cui le grandi aziende sposteranno investimenti da mezzi sempre meno efficaci (la TV) a mezzi sempre più efficaci (l'interazione tra il web e una serie di altre cose che sono parte della nostra vita di più/meglio della tv). Per questo è sbagliato oltre che ingenuo pensare che le aziende vogliano "risparmiare facendo lavorare gratis la gente". quello che vogliono (perchè devono, per sopravvivere) è INVESTIRE su idee che funzionano meglio di altre.
secondo, le community. Noi siamo parte di questo nuovo modello e possiamo decidere se stare a guardare o partecipare. La domanda che fa Maurizio ci perseguita, in senso buono, ogni giorno: perchè dovrei farlo? ecco, è bene non dimenticarla mai. Ci sono community numerose che ben volentieri si prestano al passaparola in cambio di soldi o premi, altre, e sono quelle con cui vogliamo parlare noi, vogliono prendere la parola (non passarla:) e vedere che quello che dicono serve a fare qualcosa.
Non tutti hanno questa voglia e questo tempo, è sacrosanto. Ma a me piace parlare con quelli che ce l'hanno. Del resto tutto il web è basato su pochi che agiscono/producono e molti che beneficiano, giusto? Eppure ci stiamo dentro e ci piace, e ci migliora la vita. Si stima che tutte le pagine e i contenuti creati "aggratis" sul web, se quantificati in ore di lavoro, equivarrebbero al PIL di una nazione industrializzata medio-grande. Ed e' sempre un "gratis" che ha senso. Bisogno di riconoscimento, gratificazione del "l'ho fatto io", curiosità intellettuale, desiderio di esprimere delle idee forti, piacere di connettersi con altre persone, ma anche opportunità di contatti professionali, talvolta trovare un'idea retribuita, sì, in un vero e proprio crowdsourcing. ... siamo nell'ambito affascinante delle motivazioni psicologiche degli esseri umani e ci sono molte possibili varianti, non c'è una risposta unca.

"Indovinata" la motivazione giusta, che è la parte difficile, se i due mondi (aziende che investono, utenti da cui dipende il ritorno di quell'investimento) si incontrassero e si parlassero efficacemente, si creerebbe un win-win, con meno sprechi di risorse. Nell'esempio apparentemente banale che facevo su FB: se un brand che ha bisogno di una nuova pubblicità viene ispirato dalle conversazioni sui valori che quella pubblicità rappresenta, e quindi sviluppa una pubblicità che funziona meglio, è più vicina alla gente e fa vendere di più, la sua crescita si traduce in più posti di lavoro e in un'azienda più sana, guidata dalla domanda, e i suoi soldi sono spesi su una cosa che funziona piuttosto che su una cattiva pubblicità. E' miope di questi tempi chiudersi nella riserva indiana e poi scandalizzarsi quando le aziende che soffrono chiudono e licenziano.

Un'attività che promuova questo genere di progetti crea valore e non distrugge valore come viene detto molto, molto superficialmente.
e comem al solito, mi è uscito uno sproloquio. :)

Costanza ha detto...

Ribadisco la mia perplessità, Flavia. Voi parlate dalla parte delle aziende, come se le aziende dovessero per forza far parte della mia vita, come se dovessi ringraziarle perché mi danno la parola.

Una cosa è il commercio, un'altra la vita reale, di socializzazione online o offline.

Non voglio 'integrare' le aziende nel mio quotidiano, io acquisto i loro prodotti e non posso, né voglio, anche aiutarle a vendermeli meglio. Non so se mi sono spiegata.

Capisco i tentativi che si stanno facendo, che tutti in italia tentano di fare dopo aver letto 'l'onda anomala'. Un marketing diverso, un dialogo diverso.

ok, fino a qui ci arrivo. mi manca il passaggio del 'perché un navigatore dovrebbe prestarsi a farlo'. gratificazione personale? be', allora le aziende avranno la testimonianza e l'aiuto solo di chi ha tempo e desiderio di gratificazione.

Ma non è un campione omogeneo dei consumatori, credo.
scusate il dibattito, ma l'argomento mi appassiona, anche se sembra di no dai miei commenti.

piattinicinesi ha detto...

trovo molto interessante la riflessione di Flavia sull'aspetto di gratuità del web, che produce valore in un modo spesso non quantificabile, ma ne produce, eccome.

riguardo al rapporto tra utenti e produzione televisiva, lanciato da Paola, secondo me è una questione che andrebbe approfondita e monitorata.
secondo me alcune scelte fatte in termini di palinsesti negli ultimi tempi hanno seguito più la linea dei persuasori occulti che quella del produttore attento alle reali esigenze della comunità, ma sono sicura che presto vedremo anche lì dei grandi cambiamenti

Flavia TTV ha detto...

@itmom, esiste una distanza come dici tra la vita cd "reale" e quella delle aziende...verissimo. Io penso che si possa provare, in alcuni casi, a colmarla. come e perchè e con chi, se la cosa ti appassiona (a me pure), mi fa molto piacere continuare a parlarne insieme... e cmq non esistono più i campioni omogenei di consumatori, o almeno come venivano intesi finora, e trovo che questo sia un progresso.

LGO ha detto...

Non ho seguito le ultime discussioni su fb, sono qui perché ho letto di quest’invito collettivo a partecipare al progetto dei pannolini, e sono rimasta interdetta. Flavia dice che questo è il posto giusto per esprimere la mia perplessità.
Vado, con riflessioni che in realtà sono domande, ma premetto: io di marketing non so nulla, io sono un consumatore. Manco tanto attento, a dire la verità: ci provo, ma non ho trovato soluzioni sostenibili per la mia famiglia, che non ha troppo tempo né soldi. Insomma, sono una che consumerebbe meglio se fosse più facile. Ho usato gli huggies, compro (moderate quantità) di nesquik e nutella. Forse con la nutella potrei anche andarci più piano ;-) La mia spesa a km 0 è arrivare fino al mercato rionale, più in là non ce la faccio. Ovviamente, se ci fosse un gruppo locale con cui organizzare gli acquisti sarei ben felice, ma ho un lavoro e tre figli, e dormo solo sei ore a notte. Sto andando ot, ma penso che i boicottaggi un loro senso ce l’abbiano. Sono uno strumento come altri: quando devo protestare perché il ministro da cui dipendo non sa neanche scrivere i regolamenti a volte scelgo anche di scioperare, anche se questo mi procura personalmente un danno economico, e magari so che la protesta non sortisce alcun effetto. Non arrivo al punto di licenziarmi. Ciascuno fa i conti con la sua coscienza e le sue possibilità e fa le sue scelte.

Il web 2.0 è un mezzo potenzialmente potente per sostenere prodotti e le aziende se ne stanno accorgendo, in Italia in ritardo rispetto al resto del mondo?
Benissimo.
Qualcuno ci lavora? Aribenissimo!
Ora, lavorare per me vuol dire produrre qualcosa in cambio di denaro. Anche il lavoro intellettuale andrebbe retribuito.

Se vado su un sito e mi è chiaro che il suo scopo è questo, sono contenta. Poi decido se sostenerlo, dare il mio contributo, o cancellarlo dalla lista dei siti che visito.
La nascita di TheTalkingVillage mi è sembrata un’operazione riuscita, per esempio.
Per un blog privato la (mia) richiesta di trasparenza è ancora più sentita. Se ho il sospetto che un blog sia nato per finire a fare marchette, un po’ mi sento imbrogliata. Magari, se l’avessi saputo subito, l’avrei visitato con altro spirito.
Fin qui però sto assumendo che tra l’azienda e il blogger esista qualche forma di contratto per cui il blogger viene retribuito per la pubblicità che fa.
Se invece lo fa gratis, per me le possibilità sono due.
Caso uno: il blogger è convinto che l’azienda va sostenuta –per ragioni etiche? Per filantropia?- e quindi decide di regalare il suo sostegno all’azienda (e qui ne faccio una questione di principio: se le aziende ci guadagnano anche un solo euro, io ne devo essere consapevole), assumendosene tutte le responsabilità. Francamente, non riesco a vedere la coerenza, per dire, di sostenere la spesa a km 0 e poi fare la pubblicità gratis alle amarene che vengono dal cile, a gennaio.
Oppure … oppure cosa?
Oppure il blogger vuole a sua volta avere qualcosa in cambio?
Anche qui, se partecipo, mi piacerebbe sapere cosa ne ricavo, così a mia volta saprei col mio contributo cosa sto sostenendo. Non riesco a pensare che il contributo sia neutro (della serie: tanto lo faccio gratis ed è solo un gioco).
Quello che ne ricavo poi potrebbe essere anche un bene immateriale, come il tentativo di sostenere modelli di consumo più sostenibili, equi etc. etc.
Ma allora bisognerebbe spingere per ottenerli.
Tra parentesi, questa è la situazione che a me interessa di più, quella in cui si crea una comunità di consumatori che in qualche modo “dal basso” riesce a influire su scelte e comportamenti collettivi. O perlomeno a far sentire la sua voce.
(continua...)

LGO ha detto...

Facciamo l’esempio dei pannolini, lasciando perdere per il momento se l’idea è originale o no, e non perché la proprietà delle idee non sia importante.
La Huggies vuole promuovere pannolini o una diversa idea della maternità?
Se vuole promuovere pannolini, e vuole utilizzare i blogger, li dovrebbe pagare (sta a loro poi decidere se il contributo vale un pacco di pannolini) ma per piacere lasciamo perdere la maternità vera o finta.
Se invece lo scopo è un cambiamento del paradigma culturale sulla maternità, non c’è (c’era) la possibilità di cambiare un po’ le regole? Invece di un pacco di pannolini, non si poteva finanziare qualche progetto significativo per le madri (un asilo nido? Un reparto ospedaliero? Vabbè, sto sparando: non ci dimentichiamo però che le madri non sono tutte blogger). A parità di impegno economico per l’azienda, qualcosa che facesse passare l’idea che la maternità in Italia, adesso, ha bisogno di sostegno, per esempio.

Sul cambiamento di paradigma, però, ne dovremo riparlare, se e quando vi andrà, perché a volte ho l’impressione che stiamo solo sostituendo la mamma con la parannanza con la mamma col mojito. Anche se a me il rum piace ;-)

Spero di non essere stata troppo ingenua e invadente: grazie per la pazienza, e per il commento troppo lungo :-)

Giuliana ha detto...

LGO, arrivi dopo una serie di commenti impegnativi ed interessanti con un contributo impegnativo ed interessante.
in realtà le questioni che poni sono tante, e non tutte hanno una risposta (e, soprattutto, non sarò io a darle, queste risposte).
posso dirti come la penso in merito, e in questo rispondo anche agli altri (paola, flavia, itmom, anna). credo che i tempi siano maturi per realizzare un cambiamento reale di paradigma nella comunicazione (io so fare solo quella, mi dispiace), ma credo anche che tempi maturi non significhi necessariamente anche strumenti adeguati. abbiamo avuto un'idea, the talking village, e mentre sull'idea non abbiamo dubbi (la conversazione, l'avvicinamento degli utenti ai brand e viceversa), gli strumenti sono tutti da sperimentare. conosciamo bene alcune dinamiche, meno altre. e abbiamo a che fare puntualmente con aziende che fino a stamattina hanno pianificato in tv e basta. vuol dire provare, aggiustare il tiro se qualcosa va storto, e imparare per la prossima volta. ma è quello che stanno facendo tutti, in questo campo. i blog sono spazi privati, sono d'accordo, e per occuparli bisogna pagare: giusto. però ci sono diversi modi di "pagare" un blogger: ci sono i soldi, i prodotti, o altro ancora. personalmente non ho vissuto il progetto huggies come un'invasione di spazi privati perché c'è dietro tanto: uno spettacolo da scrivere insieme e da guardarsi insieme non è poco, credo. se poi uno non lo ritiene sufficiente, pazienza. userò anche questa informazione per la prossima volta. quanto poi alle cose che avrebbe potuto fare huggies invece dello spettacolo, beh, non so. gli interventi di cui parli sono cose che normalmente un'azienda fa, ma non necessariamente mette nella sua comunicazione, non sempre, almeno. e comunque in questo caso, tra tutte le opzioni a disposizione, l'azienda ha deciso di battere questa strada, e, senza fare dietrologia, la trovo una buona idea (di certo migliore di quella di inventarsi, chessò, un video virale, il tormentone di tutte le aziende fino a poco tempo fa). parliamo di teatro, non di grande fratello, in ogni caso.
ovviamente sono andata lunga anch'io, ma a te grazie per l'intervento :)

Annachiara ha detto...

Ciao Giuliana, mi sono letta tutti i commenti. Quindi non mi dilungherò. Mi trovo d'accordo con l'approccio di LGO (che peraltro conosco solo di"striscio"),compreso che non ne so niente di marketing. Quindi non aggiungo altro. Se non una cosa: quando ho partecipato a "Il mulino che vorrei", l'ho fatto senza pensare, mi sembrava un'iniziativa interessante, era una società italiana. Ma poi non ho avuto nessun riscontro dalla società. Cioè noi per cinque settimane abbiamo prodotto dei contenuti senza avere nessun feedback. Vogliamo classificare i feedbach? Di gratitudine, di interesse, di qualità e chi più ne ha più ne m
metta. La stessa presenza degli "addetti" sul blog è stata un flop. Nessuno di loro ha ritenuto opportuno intervenire. Che razza di operazione è stata codesta? Bada, non sto incolpando te (che magari te ne sei pure accorta!), ma piuttosto l'operazione di collaborare senza tornaconto con un azienda. Senza nemmeno un feedback aggratis. E questo mi fa pensare che non sia giusto adoperarsi in attività del genere. Cioè se vogliamo sfruttare il lato "umano " del marketing, che allora sia fatto "umanamente". Altrimenti, come qualcuno ha già scritto, chiamamolo "sfruttamento" tout court.
P.S. Mi rendo conto che la mia riflessione può apparire disarticolata. In effetti non essendo un'esperta di marketing, non mi sono mai avventurata nei meandri di una razionale esposizioone a questo proposito.

Giuliana ha detto...

@annachiara: e come darti torto. (attenzione: il mulino che vorrei è operazione di tutt'altro genere, quello che abbiamo fatto noi l'anno scorso era i diari delle spighe. meglio precisare). ovviamente l'idea era diversa, alla partenza, ma è evidente che questo non rileva: cosa fatta, capo ha.
torno su quello che dicevo a LGO: le idee ci sono, la volontà anche, gli strumenti vanno affinati, e da qui non si scappa. oggi so - e lo sapevo anche all'indomani della chiusura di quel progetto - che se oggi rifacessi una cosa così ci metterei dentro degli aggiustamenti, farei in modo che l'azienda entrasse subito nella conversazione, che si impegnasse a restituire dei feedback (cosa che, per esempio, ha fatto un'altra azienda con la quale abbiamo lavorato quest'estate, che oltre a dare subito feedback e a garantire presenza durante la conversazione, ci ha scritto dopo due mesi dalla fine del progetto per informarci di cosa stava facendo con le cose che ci eravamo detti in quella sede. in altre parole, c'è anche del buono), che mettesse le foto delle persone coinvolte immediatamente, e che le facesse parlare per prime. e molto di più, credo. però, annachiara, quello che vorrei che passasse è che certi meccanismi e certe dinamiche sono incomprensibili alla maggior parte delle aziende, che, come dicevo più su, sono abituate alla TV (non è il caso di barilla, sia chiaro, lì le ragioni di queste "sviste" sono state altre e diverse), e quindi bisogna dargliele in pasto piano piano. tra due anni sarà tutto molto diverso, lo so. solo che mi voglio assumere il rischio di iniziare con due anni di anticipo. lo sai che sono fatta così.

LGO ha detto...

Da parte mia, per ora grazie comunque della risposta. Le cose cambiano in fretta, e non è sempre facile riconoscere l'entità dei cambiamenti. Ancora più difficile è governarli ;-)
Per questo spero che le conversazioni (tutte) continuino :-)

emily ha detto...

esatto, che bello, hai detto tutto quello che penso sull'argomento.
e siccome sono bastarda a volte mi prende l'idea che certe blogger si siano un po' montate la testa e se la tirano un po' troppo con questa idea di essere sfruttate, insomma nn credo che la rete sia pieno di isabel alliende....
io nn partecipo a nessun progetto prima di tutto xkè questo x me è un periodo denso di cambiamenti lavorativi e devo concentrarmi qui, a volte fatico a scrivere un post tutto in una volta, lo devo riprendere 5/6 volte....e poi xkè, lo so che sono noiosa, ma temo che salti l'anonimato, come è successo in parte con l'esperienza del mulino ( bellissima cmq, sono felice di aver partecipato!...ma qualcuno mi ha riconosciuto, da cosa nn capisco, e mi ha associato al blog....)
grazie x aver messo in ordine i miei pensieri sull'argmento!