giovedì, aprile 01, 2010
Libri: Invertising
Di solito scrivo la mia recensione di getto su aNobii, e poi la (quasi) copincollo qui, se la considero degna. Stavolta no. Ho invertito la marcia anch’io. Un po’ perché questa recensione me la sono immaginata man mano che leggevo, e quindi nel tempo è diventata lunghissima. Un po’ perché dovevo raccogliere i pensieri per bene, e questo è il luogo.
Veniamo al libro, Invertising. La mia prima esperienza di lavoro è stata in un’agenzia di pubblicità, a Parigi. Mi affacciavo alla finestra e potevo vedere il colore degli occhi dei turisti in cima all’Arc de Triomphe. Ero felice e innamorata della pubblicità, proprio come Paolo Iabichino (l'autore del libro), mi viene da dire. Poi è passato il tempo, ho conosciuto il web e approfondito i miei studi “sul campo” della semiotica, applicandola prima a quello che chiamo “il web dei brand” e poi al “web delle persone”. E lì la pubblicità è diventata il cattivo.
Il cattivo per due ordini di motivi:
1) Il mezzo a volte è più importante del messaggio: se vado in TV ci metto dentro tanta f…a, e funziona sicuramente, perché quelli che guardano la TV vogliono questo.
2) Il messaggio prescinde dal mezzo: quello che passa, a prescindere dal mezzo, alla fine è la f…a che ci ho messo dentro.
Una contraddizione? No, solo il frutto di una lunga riflessione. Mi sono nutrita abbastanza di studi sociali per sapere che la comunicazione, anzi no, la pubblicità, è una degli attori principali nella costruzione dei modelli culturali, e sono convinta che non basta un mea culpa per rimediare allo sfascio, e alla fine Invertising è un mea culpa. Questa cosa del mezzo e del messaggio, ad esempio, Iabichino la investiga molto bene, e la sua conclusione è che il messaggio deve guidare, e per guidare bene il messaggio deve essere rilevante. Il che però mi fa sorgere una domanda: siamo sicuri che una rilevanza gestita dalla pubblicità sia sufficiente? Che, in altre parole, per il solo fatto di usare il giusto approccio creativo la pubblicità può superare un limite che, semmai, è della comunicazione di un brand tutta intera? Non credo che lo sia, per un motivo molto semplice: la costruzione di senso di cui parla molto bene Iabichino, non può che avvenire, da parte della pubblicità, sottostando alle logiche tradizionali della dialettica cliente-agenzia-centro media, e questa triade al momento non è pronta – né lo sarà mai, perché le dinamiche tra questi attori sono troppo codificate per poter pensare di modificarle. Insomma: il cliente deve vendere, il centro media deve vendere, e l’agenzia deve lavorare per realizzare gli obiettivi di entrambi.
I casi riportati nel libro sono molto interessanti, ma, come dire?, continuano ad essere momenti di esercizio felice di creatività intelligente, ma la rilevanza, quella che davvero risponde alla fatidica domanda: “Il mondo sarebbe migliore se il brand X…”, non può essere che una rilevanza finalizzata all’acquisizione dell’attenzione del consumatore, o utente, o cittadino, o insomma chiamiamolo come vogliamo. Per cambiare il mondo serve proporre modelli culturali sostenibili, e da quelli la pubblicità è per sua natura lontana, perché la sua missione è rendere sexy, desiderabile, aspirazionale ogni cosa (e la sostenibilità a qualunque livello, si sa, è tutto meno che sexy).
Insomma, concordo con Gianluca Diegoli quando dice che non di Invertising si dovrebbe parlare in alcuni dei casi descritti, bensì di NOvertising, essendo la pubblicità, tutto sommato, complice e non protagonista di un approccio che è prima organizzativo e di processo all’interno dell’azienda, e poi comprendente l’intera comunicazione del brand.
In sintesi, credo che Invertising sia esattamente quello che promette di essere: una proposta per salvare l’anima di pubblicità e pubblicitari, in un momento in cui questa – l’anima – ha prospettive tutt’altro che paradisiache davanti.
Ecco, nella mia recensione ongoing c’erano un sacco di altre cose oltre a queste, e anche queste erano argomentate meglio di così, ma ora tutto il resto mi sfugge, e forse è meglio, che con la scusa mi riprendo i vari pezzi e ne parlo un po’ alla volta.
Nonostante la tirata, il libro mi è piaciuto (gli ho pur sempre dato 4 stelline!) e l’ho letto con accanimento. Non è lungo ma è ricchissimo (di argomenti, di spunti, di link, di libri, di citazioni – di queste forse addirittura troppe), cosa estremamente apprezzabile.
Chiudo con i miei abituali consigli per la lettura. Invertising è un libro da leggere con concentrazione. Quindi se la modalità di lettura è quella, per me obbligatoria, da-duomo-a-missori, meglio privilegiare tratti più lunghi (dalle 8 fermate in su). Io l’ho sperimentato anche sulla scala mobile di Potenza, che è molto lunga: è perfetto, basta stare attenti alla fine di ogni rampa.
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2 commenti:
Torno e trovo un buon libro da scoprire. Grazie.
Posso giurare in tribunale di aver visto/sentito un diretttore creativo di grido (femmina) urlare nelle orecchie di un art "METTICI PIU' F..A!!!". Quella funziona sempre... Sigh
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