martedì, marzo 22, 2011

Quello che i clienti non dicono: le strategie social viste dalla macchinetta del caffè

Non posso pubblicare questo post su TTV, e si capirà presto perché. Le sue basi sono state gettate in un piovoso pomeriggio milanese, su e giù per varie linee di metropolitana, insieme a Flavia.

Quando un’azienda arriva a maturare che è tempo di impegnarsi in una strategia di social media, di solito si è già fatta delle idee. Particolari, diciamo così. Queste idee dovrebbero poi “essere” la strategia social. Noi ne abbiamo individuate 5.

1. Sparagnamme e cumparimme
2. Jamme jà
3. Facite ammuina
4. Aumm’ aumm’
5. Cchi te serve?

Vediamole una alla volta.

1. Sparagnamme e cumparimme
Trad.: “Una buona strategia social si basa sulle idee, non sui mezzi dispiegati. Noi possiamo dimostrare di fare qualcosa di veramente innovativo con un investimento tutto sommato contenuto”
È una strategia molto diffusa, che in generale si basa sull’assunto per cui se devi andare in TV puoi permetterti un investimento milionario, mentre se devi stare solo sul web devi farlo a gratis, o quasi (diciamo che al massimo sei disponibile a pagarti il dominio, se ne registri uno).
Per esempio, una pagina Facebook è gratis, giusto? Quindi non c’è motivo per pagare qualcuno che la gestisca, codesta pagina. Del resto, uno che gestisce pagine Facebook non si può mica dire che lavori, no?
Si concretizza in generale con l’apertura – appunto – di una pagina Facebook gestita da uno stagista alla pari (figura professionale che sto studiando approfonditamente e che presto entrerà a far parte della mia galleria).

2. Jamme jà
Trad.: “Siamo conosciuti come veri innovatori. Con questa strategia intendiamo confermare tale immagine. Perciò facciamo una scommessa coraggiosa e ci apriamo alla conversazione”
Chi sposa l’approccio Jamme jà è un entusiasta, uno che mentre fa una cosa sta già pensando alle centinaia che farà subito dopo. Sperimentare, provare, imparare dagli errori è un modus vivendi per lui.
Con una persona così le agenzie si divertono. Fanno una prima mirabolante proposta, lui se la tiene tre settimane, chiede un’integrazione, loro gliela fanno; lui lascia passare altre tre settimane, risponde che non è sufficientemente mirabolante; nuova proposta, e finalmente discussione finale. Alla fine di un’estenuante riunione in cui si discute di massimi sistemi e si scomodano tutti i guru passati presenti e futuri, si decide di fare una pagina Facebook.

3. Facite ammuina
Trad.: “Vogliamo una presenza in rete diffusa, riconoscibile, importante. Vogliamo essere presenti nei luoghi in cui si trovano le persone interessate a noi. Vogliamo che queste persone diventino i nostri ambassador”.
Quindi la prima cosa che si fa è andare a cercare queste persone interessate. Si battono le community, i forum, i blog, i social network, e si presentano al cliente vistosi report in cui i numeri vengono dati in percentuale perché se no che figura ci facciamo a dirgli che nessuno è interessato. Il cliente decide di andarci lo stesso, a prendere queste persone. E apre una pagina Facebook.

4. Aumm’ aumm’
Trad.: “Vorrei proprio fare qualcosa di duepuntozzero, ma i miei capi non me l’approverebbero mai. C’è solo un modo: stare sotto i 5.000 euro, così non devo coinvolgere nessuno”
Nei (meno di) 5k ci devono stare, però: un monitoraggio della rete, un programma di engagement verso i blogger del settore, una campagna di sampling, un questionario online in cui chi ha provato il prodotto dice cosa ne pensa, un minisito, un blog con il coinvolgimento degli esperti, una campagna banner per dare rilevanza alla cosa. Però bisogna che il capo non venga mai a saperne niente. Alla fine si valuta che la soluzione più saggia sia aprire una pagina Facebook, eventualmente nella variante del gruppo segreto.

5. Cchi te serve?
Trad.: “Devo aprire una pagina Facebook”
Il commento è superfluo.

10 commenti:

Roberta ha detto...

Perché mi vengono in mente certe considerazioni che venivano fatte durante l'avvento di Internet?

Credo che il problema più grosso sia far capire alle aziende lo strumento che hanno a disposizione.
Anche Facebook ha le sue regole, i suoi paradigmi, le sue potenzialità... e invece spesso si finisce per considerare ogni strumento presente in rete come se fosse la stessa cosa....

Sai quante volte mio padre mi ha chiesto se non si poteva aprire un blog per comunicare cose che su un blog sarebbero risultate assolutamente sconnesse?

Hai voglia a fargli capire la differenza, certe volte.....

Sulla questione costi non voglio neanche commentare.... Quella è una storia ancora più antica....

Giuliana ha detto...

ti viene in mente perché è esattamente lo stesso film :)

Fabi ha detto...

Molto bene...quindi sono a posto: io ho una pagina Facebook!!!!!!!!!!!!

copyman ha detto...

Poche settimane fa, durante un seminario rivolto a un pubblico aziendale, ho ascoltato l'intervento di Silvia Vianello, docente alla SDA Bocconi, tutto giocato su case history internazionali sul buono, cattivo o sciatto uso degli strumenti del web 2.0.
A parte l'uso dei titoli in napoletano, ritrovo nel tuo post gran parte delle considerazioni fatte dalla Vianello. Se riesco a recuperare le slide te le faccio avere.

Giuliana ha detto...

@copyman: grazie! (ma tu che fine hai fatto?)

Stefania Boleso ha detto...

Mi hai fatto sorridere! Ma quanta verità nelle tue parole... Io al momento sono alle prese con un pseudo stagista alla pari... Dal quale ci si aspetta che risolva tutti i problemi dell'azienda, sia on che off line :-)

copyman ha detto...

@Giuliana - come vedi sono sempre nei paraggi a spargere ruggine e odore di munnezza. ;-)

anna ha detto...

Guarda....mi hai fatto sbellicare dalle risa prima e riflettere dopo...perchè è tristemente vero quello che scrivi.
Io mi trovo dall'altra parte della barricata,la tua azienda "vuole esserci" tanto per esserci, spendendo pochissimo con pochissimi investimenti di tempo e denaro ..... per poi dire..." ma non serve a un c..."

Antonella mai content ha detto...

Brava! E aggiungerei. chi ha avuto, ha avuto, ha avuto: chi ha dato, ha dato, ha dato,
scurdammoce 'o passato...

Sviluppo: la web reputation si misura da adesso (tutto quel che è stato non vale).
E la Brand identity e quelle rigidissime, inviolabili guidelines di utilizzo del logo, beh ora che c'è lo stagista su fb, a che servono? Vecchie. NNessuno se le fila piú. Un conto è il sito "istituzionale", altra parola passata, i social sono un altra storia...

Giuliana ha detto...

@Antonella bellissima questa strategia!