Ieri sera mi sono imbattuta in una puntata, credo una replica, di La pupa e il secchione, il reality di Italia 1 in cui un gruppo di ragazzi dal QI esagerato, ma sostanzialmente disadattati, vivono con un gruppo di pupe dall'intelligenza sociale fuori dal comune, ma dal livello culturale raccapricciante. A parte chiedermi se ci sono o ci fanno, cosa del resto più o meno lecita in quasi tutti i reality show, ritengo che una considerazione sia d'obbligo: pur ammettendo che certe persone esistano per lo più nella testa degli autori della trasmissione, il principio di realtà su cui essi si basano è schiacciante. E suona più o meno così: esistono (al mondo? in Italia? chissà) ragazzi e non più ragazzi che, avendo trascorso tutto il loro tempo sui libri, sono privi della benche minima qualità sociale, cosa che include la capacità di relazione in senso più ampio, la fisicità, intesa sia come rapporto con il proprio corpo che come capacità di muovere il medesimo nello spazio; sull'altro fronte, esistono (al mondo? in Italia? chissà) ragazze che, avendo trascorso tutto il loro tempo nel culto del proprio corpo, hanno sviluppato una soprendente agilità fisica e relazionale, ma non hanno ritenuto nessun dato "culturale". Aspiranti Einstein e Paris Hilton (perchè ormai anche le veline, forse, hanno fatto il loro tempo) che sembrano recitare se stessi a uso e consumo di un pubblico televisivo che paga ma inconsapevolmente.
Il post di Beppe Grillo sulla cultura televisiva, allora, mi sembra fin troppo benevolo.
Ma poi mi chiedo: e se le cose non stessero così? E se fossero "loro" ad avere ragione e "noi" a nasconderci dietro una spocchia cultural/politica fuori tempo?
I clienti dell'azienda per cui lavoro sono tutte aziende molto grandi, importanti e famose; eppure ogni nostro tentativo di portarle al di là di una logica orientata alla responsabile acquisti (la famosa e famigerata RA) è vana. E, attenzione, queste sono le aziende che danno da mangiare al mercato dei media. E allora, di chi è la responsabilità? Se questi signori hanno paura di osare su Internet, territorio privilegiato della sperimentazione, perchè dovrebbero osare in TV? E, quindi, perchè dovrebbero accettare di investire in palinsesti meno che mediocri, e comunque tarati sulla casalinga di Voghera e sulla nonna Maria? (Mi chiedo perchè i target più sfigati della comunicazione siano donne... bisogna che ci rifletta...)
Per quanto mi sforzi di comprendere le loro ragioni, tuttavia, faccio fatica. Un altro colpo all'amore per il mio lavoro.
venerdì, settembre 29, 2006
giovedì, settembre 28, 2006
Quasi quasi mi taglio i capelli
Ieri ho fatto una dichiarazione scioccante: voglio cambiare la mia vita. E questa volta non mi limiterò a tagliarmi i capelli. Suppongo che dovrei affrontare la cosa con razionalità, e non lasciare che, come sempre, siano gli eventi a guidare questo delicato momento della mia esistenza.
Prima di tutto devo cambiare lavoro. Da tempo non mi diverto più, e sono successe cose, in questo posto, difficili da dimenticare: sono successe a me, a persone a me vicine, all'intera azienda. Quando siamo portati a pensare al passato ci distraiamo dal presente (questa è una citazione: Edna, la stilista dei supereroi, lo dice a Mr. Incredible quando lui le chiede un costume fatto in un certo modo), con tutto quello che ne consegue. E non è solo bisogno di cambiare aria, in realtà mi piacerebbe cambiare proprio lavoro, non azienda. Perchè andare in un altro posto come questo vuol dire tornare presto o tardi alla stessa minestra. Quindi qualcosa di più concreto, più umano, eventualmente anche meno cazzaro (o anche no...). Ritornerò su questo punto.
Poi devo cambiare l'organizzazione della famiglia. Basta che tutti mettono il casino e solo io lo tolgo di mezzo. Basta che tutte le esigenze sono più importanti delle mie, anche quelle della colf. Basta non uscire se non con il bambino (week end figuriamoci!), e passare le serate a farsi intontire dalla TV, come se non fossimo già abbastanza intontiti dal lavoro. Basta non uscire mai con le amiche.
Poi sto valutando anche se non sia il caso di cambiare città. Fuori da Milano (non intendo hinterland, che siamo punto e accapo, voglio dire proprio città città) si può avere una casa grande due volte la mia pagandola la metà, si può girare senza correre (senza che questo ti faccia sentire un fancazzista, eventualmente meridionale non ancora sdoganato), si può dire che hai un bambino senza essere considerata di volta in volta una perdente o un'eroina. Poi però mi dico che non potrei vivere lontano da qui, che anche se non partecipo quasi a niente per me è fondamentale sapere che ci sono tante cose. Che insomma in provincia forse mi sparerei dopo due settimane, in pratica appena finito il trasloco. Sarà perchè vengo dalla provincia, so che significa e col cavolo che c'ho voglia di tornarci!
Poi devo anche dimagrire.
Poi mi sa che sabato vado a tagliarmi i capelli.
Prima di tutto devo cambiare lavoro. Da tempo non mi diverto più, e sono successe cose, in questo posto, difficili da dimenticare: sono successe a me, a persone a me vicine, all'intera azienda. Quando siamo portati a pensare al passato ci distraiamo dal presente (questa è una citazione: Edna, la stilista dei supereroi, lo dice a Mr. Incredible quando lui le chiede un costume fatto in un certo modo), con tutto quello che ne consegue. E non è solo bisogno di cambiare aria, in realtà mi piacerebbe cambiare proprio lavoro, non azienda. Perchè andare in un altro posto come questo vuol dire tornare presto o tardi alla stessa minestra. Quindi qualcosa di più concreto, più umano, eventualmente anche meno cazzaro (o anche no...). Ritornerò su questo punto.
Poi devo cambiare l'organizzazione della famiglia. Basta che tutti mettono il casino e solo io lo tolgo di mezzo. Basta che tutte le esigenze sono più importanti delle mie, anche quelle della colf. Basta non uscire se non con il bambino (week end figuriamoci!), e passare le serate a farsi intontire dalla TV, come se non fossimo già abbastanza intontiti dal lavoro. Basta non uscire mai con le amiche.
Poi sto valutando anche se non sia il caso di cambiare città. Fuori da Milano (non intendo hinterland, che siamo punto e accapo, voglio dire proprio città città) si può avere una casa grande due volte la mia pagandola la metà, si può girare senza correre (senza che questo ti faccia sentire un fancazzista, eventualmente meridionale non ancora sdoganato), si può dire che hai un bambino senza essere considerata di volta in volta una perdente o un'eroina. Poi però mi dico che non potrei vivere lontano da qui, che anche se non partecipo quasi a niente per me è fondamentale sapere che ci sono tante cose. Che insomma in provincia forse mi sparerei dopo due settimane, in pratica appena finito il trasloco. Sarà perchè vengo dalla provincia, so che significa e col cavolo che c'ho voglia di tornarci!
Poi devo anche dimagrire.
Poi mi sa che sabato vado a tagliarmi i capelli.
mercoledì, settembre 20, 2006
Ma che ci fai con la mia macchina???!!!
Mi hanno rubato la macchina. Cazzo, cazzo, cazzo. In pieno giorno, in via Cimarosa. Era una Skoda Octavia SW. L'ultima in qualunque classifica delle auto che fanno gola ai ladri, anche in una città come Milano.
All'interno c'erano:
All'interno c'erano:
- il seggiolino di Gabriele
- il passeggino di Gabriele
- la mantella per la pioggia di Gabriele
- il navigatore satellitare
- l'autoradio
- i cd
- un mio golf
- alcuni ombrelli
- due aquiloni
- tutte le carte stradali d'Italia (quando dico tutte intendo TUTTE)
- una macchina per il caffè espresso (dovevo portarla in ufficio)
- il mio tailleur IKKS da portare in tintoria.
Sono veramente molto incazzata.
lunedì, settembre 18, 2006
Nonne che lavorano
Stamattina uscendo di casa ho incontrato la mia vicina, nonchè nonna putativa di Gabriele. Tutta contenta, mi fa: "oggi è il primo giorno nell'ufficio nuovo!", come una bimba al primo giorno di scuola. La mia vicina è una nonna che lavora. (Quasi) tutte le mattine, va ad aprire lo studio legale del figlio, dove tiene in ordine e risponde al telefono, per lo più, ma non si sottrae a nessun compito di puro segretariato.
Non è la sola nonna che lavora, quest'anno ne conosciute almeno altre tre.
La prima è l'educatrice. Tata da sempre, quando la figlia ha aperto una catena di asili nido è andata a coordinarne uno, nonostante fosse formalmente in pensione. Lavora tanto, lei, e da un anno circa fa anche la nonna.
Poi c'è la serigrafa, che è la mamma del titolare dello studio grafico a cui ci siamo rivolti per fare delle serigrafie molto delicate. Anche lei lavora part time, tranne che nei periodi in cui c'è tanto da fare, e allora smette le vesti di nonna, lascia che il nipotino si arrangi e si dedica a colori e telai.
L'ultima è quella a cui tengo di più, la sarta, che poi sarebbe anche la mia mamma. Fa la sarta da quando aveva 14 anni. Per molto tempo ha condotto una sartoria dove lavoravano in 12, che ha chiuso quando gli impegni della famiglia si sono fatti troppo intensi. Però non ha mai smesso di fare il suo lavoro: con un piccolo gruppo di sarte ha sempre fatto qualcosa, anche se in piccolo, dedicandosi soprattutto agli abiti da sposa, che ama particolarmente. L'anno scorso, quando è partita l'avventura di PretaportArt, le ho chiesto una consulenza per la ricerca di un laboratorio artigianale che producesse la nostra collezione, e, dopo vari tentativi a vuoto, si è offerta di riprendere i contatti con alcune delle sue vecchie lavoranti e farlo lei. Inutile dirlo, è stato un successo.
Queste nonne lavoratrici sono entusiaste, motivate, scrupolose come solo un neolaureato in stage sa essere. Spesso fanno il part time, ma si può star certi che se c'è un'emergenza loro sono lì. E poi sono belle da vedere: dimostrano quindici anni di meno, sono sempre sulla cresta dell'onda, splendide e splendidamente lontane dal modello di nonna che ci hanno trasmesso a scuola, quella che fa le torte e lavora a maglia.
Viva le nonne!
Non è la sola nonna che lavora, quest'anno ne conosciute almeno altre tre.
La prima è l'educatrice. Tata da sempre, quando la figlia ha aperto una catena di asili nido è andata a coordinarne uno, nonostante fosse formalmente in pensione. Lavora tanto, lei, e da un anno circa fa anche la nonna.
Poi c'è la serigrafa, che è la mamma del titolare dello studio grafico a cui ci siamo rivolti per fare delle serigrafie molto delicate. Anche lei lavora part time, tranne che nei periodi in cui c'è tanto da fare, e allora smette le vesti di nonna, lascia che il nipotino si arrangi e si dedica a colori e telai.
L'ultima è quella a cui tengo di più, la sarta, che poi sarebbe anche la mia mamma. Fa la sarta da quando aveva 14 anni. Per molto tempo ha condotto una sartoria dove lavoravano in 12, che ha chiuso quando gli impegni della famiglia si sono fatti troppo intensi. Però non ha mai smesso di fare il suo lavoro: con un piccolo gruppo di sarte ha sempre fatto qualcosa, anche se in piccolo, dedicandosi soprattutto agli abiti da sposa, che ama particolarmente. L'anno scorso, quando è partita l'avventura di PretaportArt, le ho chiesto una consulenza per la ricerca di un laboratorio artigianale che producesse la nostra collezione, e, dopo vari tentativi a vuoto, si è offerta di riprendere i contatti con alcune delle sue vecchie lavoranti e farlo lei. Inutile dirlo, è stato un successo.
Queste nonne lavoratrici sono entusiaste, motivate, scrupolose come solo un neolaureato in stage sa essere. Spesso fanno il part time, ma si può star certi che se c'è un'emergenza loro sono lì. E poi sono belle da vedere: dimostrano quindici anni di meno, sono sempre sulla cresta dell'onda, splendide e splendidamente lontane dal modello di nonna che ci hanno trasmesso a scuola, quella che fa le torte e lavora a maglia.
Viva le nonne!
giovedì, settembre 14, 2006
Angeli del guardaroba
Questa mattina ho tentato il primo timido approccio al guardaroba autunnale. Il fatto è che ieri era ancora estate, e così... Il risultato: chemisier corto di seta stampata a grandi fiori un po' sixties, leggings (risalenti all'epoca in cui si chiamavano ancora fuseaux, ma non a quella in cui si usavano sotto i maglioni, bensì a quando si usavano solo per andare in palestra - il che significa risalenti all'epoca in cui andavo, sebbene sempre con una certa riluttanza, in palestra, e dunque a parecchio tempo fa) e ballerine. L'effetto non è glamour come me l'ero immaginato, forse avrei fatto meglio a controllare nello specchio invece di immaginare e basta; in compenso fa proprio freddo. E la giacca impermeabile e il cappello da pioggia (questo sì, molto glamour!) fanno fatica a star dietro a quello che viene giù.
Comunque, il giro di stamattina nell'armadio e la temperatura inadeguata a quella di 24 ore fa mi fanno venire una voglia di shopping! Da tempo ne sperimento le virtù antidepressive, anzi, addirittura taumaturgiche, e a niente valgono gli ammonimenti mensili di CartaSì.
Su questo tema sono piuttosto abitudinaria: ad ogni cambio di guardaroba (autunno e primavera) ho bisogno di dare nuova vita al mio armadio. Così di solito vado nel negozio della mia amica Adelanna (lei si chiama davvero così), che più che una commerciante è una stylist fatta e finita, con grandi doti di venditrice. E lì passo almeno un paio d'ore che valgono più di qualsiasi hammam. Anche economicamente parlando.
Di solito me ne esco con i capi base per la stagione in corso, che diventeranno capi passepartout l'anno dopo, capi sempreverdi l'anno dopo ancora, e così via, fino a diventare vintage. Certo, non si può dire che per star dietro ad Adelanna io butti via un sacco di roba. Un sacco di soldi invece sì, ma tant'è, ognumo ha le sue piccole manie.
L'unico neo è che il negozio di Adelanna, che ha un nome bellissimo, "Angeli di ventura", si trova a Fidenza. Ma chissà, magari sabato, con la scusa di comprare le ciabattine per la scuola a Gabriele...
Comunque, il giro di stamattina nell'armadio e la temperatura inadeguata a quella di 24 ore fa mi fanno venire una voglia di shopping! Da tempo ne sperimento le virtù antidepressive, anzi, addirittura taumaturgiche, e a niente valgono gli ammonimenti mensili di CartaSì.
Su questo tema sono piuttosto abitudinaria: ad ogni cambio di guardaroba (autunno e primavera) ho bisogno di dare nuova vita al mio armadio. Così di solito vado nel negozio della mia amica Adelanna (lei si chiama davvero così), che più che una commerciante è una stylist fatta e finita, con grandi doti di venditrice. E lì passo almeno un paio d'ore che valgono più di qualsiasi hammam. Anche economicamente parlando.
Di solito me ne esco con i capi base per la stagione in corso, che diventeranno capi passepartout l'anno dopo, capi sempreverdi l'anno dopo ancora, e così via, fino a diventare vintage. Certo, non si può dire che per star dietro ad Adelanna io butti via un sacco di roba. Un sacco di soldi invece sì, ma tant'è, ognumo ha le sue piccole manie.
L'unico neo è che il negozio di Adelanna, che ha un nome bellissimo, "Angeli di ventura", si trova a Fidenza. Ma chissà, magari sabato, con la scusa di comprare le ciabattine per la scuola a Gabriele...
martedì, settembre 12, 2006
Anna e l'Azienda
Ho una collega che si chiama Anna (non è vero, ma come sempre devo rispettare la privacy), che ha fatto una brillante carriera intanto che io mi distraevo facendo un bambino. E' una persona vitale, simpatica, con una grande carica umana e soprattutto una volontà di acciaio temperato. Dove non arrivano le competenze o quando gli eventi si fanno avversi, per lei entra in gioco la volontà. C'è una mission impossible? Anna è lì.
Stasera eravamo in una riunione che è finita piuttosto tardi, durante la quale abbiamo assistito (e partecipato nel ruolo di co-protagonisti) ad un film ormai consumato dalle proiezioni ripetute con troppa frequenza: un cliente importante che ci chiede una cosa da fuochi artificiali, noi che mettiamo in pista un megaprogetto entusiasmante, il cliente che ci chiede di dimezzare i tempi (non abbiamo ancora parlato di soldi, ma verrà anche quel momento). Ed è lì che Anna si è trasfigurata. La semplice prospettiva di trascorrere in ufficio tutte le notti - week end compresi - per le prossime quattro settimane le ha procurato un orgasmo multiplo. Vero, reale, quasi pornografico! E il bello è che Anna è quanto di più lontano possa esistere dal masochismo! Lei era veramente, genuinamente contenta all'idea di poter partecipare alla splendida avventura che l'azienda le stava proponendo.
Allora, la domanda è: sono io che non sono normale? Qualche anno fa avrei avuto anch'io la stessa reazione, ma comunque, fosse stato il mio, avrei interpretato questo comportamento in maniera patologica, tipo workaholismo, non come una legittima entusiastica adesione agli obiettivi aziendali. Da cui sorge la seconda domanda: ma gli obiettivi aziendali esistono davvero o non sono piuttosto il risultato dell'accoppiamento selvaggio di un'astratta teoria economico-finanziaria e la concreta affermazione di una volontà individuale (quella del parùn)?
Io non credo che l'Azienda debba essere per forza sadica. Io credo che, se l'Azienda fosse una persona, non penserebbe che il fine giustifica sempre i mezzi. Né che le persone sono quello che si fanno fare. O che ci sono Aziende rese scarsamente produttive dall'abbondanza di mutui e di bambini. E neanche che "azienda" si debba scrivere con la maiuscola.
Per fortuna che c'è Anna!
Stasera eravamo in una riunione che è finita piuttosto tardi, durante la quale abbiamo assistito (e partecipato nel ruolo di co-protagonisti) ad un film ormai consumato dalle proiezioni ripetute con troppa frequenza: un cliente importante che ci chiede una cosa da fuochi artificiali, noi che mettiamo in pista un megaprogetto entusiasmante, il cliente che ci chiede di dimezzare i tempi (non abbiamo ancora parlato di soldi, ma verrà anche quel momento). Ed è lì che Anna si è trasfigurata. La semplice prospettiva di trascorrere in ufficio tutte le notti - week end compresi - per le prossime quattro settimane le ha procurato un orgasmo multiplo. Vero, reale, quasi pornografico! E il bello è che Anna è quanto di più lontano possa esistere dal masochismo! Lei era veramente, genuinamente contenta all'idea di poter partecipare alla splendida avventura che l'azienda le stava proponendo.
Allora, la domanda è: sono io che non sono normale? Qualche anno fa avrei avuto anch'io la stessa reazione, ma comunque, fosse stato il mio, avrei interpretato questo comportamento in maniera patologica, tipo workaholismo, non come una legittima entusiastica adesione agli obiettivi aziendali. Da cui sorge la seconda domanda: ma gli obiettivi aziendali esistono davvero o non sono piuttosto il risultato dell'accoppiamento selvaggio di un'astratta teoria economico-finanziaria e la concreta affermazione di una volontà individuale (quella del parùn)?
Io non credo che l'Azienda debba essere per forza sadica. Io credo che, se l'Azienda fosse una persona, non penserebbe che il fine giustifica sempre i mezzi. Né che le persone sono quello che si fanno fare. O che ci sono Aziende rese scarsamente produttive dall'abbondanza di mutui e di bambini. E neanche che "azienda" si debba scrivere con la maiuscola.
Per fortuna che c'è Anna!
venerdì, settembre 08, 2006
Della maternità. Politicamente scorretto.
Ieri Gabriele ha compiuto 3 anni. Torta, candeline, canzoncina, regali. Tanti regali, ma il più apprezzato è stato un album da colorare di Cars, il primo film visto al cinema (“cimel” in gabrielese), costato € 1.90 alla Coop. Alla faccia dei bambini viziati.
Insomma, tre anni fa a quest’ora mi trovavo in contemplazione della creatura sul mio letto d’ospedale. E quando mi sono alzata e l’ho preso in braccio lui ha fatto la sua prima cacca. Sulla mia camicia da notte. Una cacca scura scura, quasi nera, e appiccicosissima, e inodore, almeno per le mie nari innamorate di mamma nuova nuova. Che impressione!
Ma, nonostante l’emozione, una cosa mi è stata chiara da subito: che tutti i luoghi comuni sulla maternità e sulle sue fasi (la gravidanza, il parto, l’allattamento) sono delle clamorose minchiate – sorry per il giro di parole, ma il tema mi rende piuttosto sboccata. Me le sono riviste tutte, capitolo per capitolo.
Capitolo 1: la gravidanza
La gravidanza è uno stato di grazia
Per chi? Per il ginecologo sicuramente, visto che la frequenza delle visite è a dir poco imbarazzante, quasi quanto il fatto in sé di trovarsi davanti a un semisconosciuto a farsi toccare e scrutare e (questo è proprio il massimo) pesare! Io non mi peso MAI in pubblico, anzi a dir la verità non mi peso affatto, tanto sono pudica su questo punto!
E poi, per tornare allo stato di grazia: ma che razza di grazia è quando ti trascini in giro con una confezione (o due) di acqua minerale appiccicata alla pancia, con degli ormoni che sembrano dei tacchini pronti per essere farciti, che la sera devi portarli fuori a fare pipì, e che ti fanno avere reazioni da adolescente? E che razza di grazia è quando non puoi più bere, non puoi più fumare (e se ti azzardi a sgarrare gli altri ti guardano come se volessero dirti “assassina!”), non puoi mangiare un sacco di cose (per via della toxoplasmosi; io non sono un’amante della carne, ma in quel periodo avrei ucciso per una fetta di salame) e i negozi prémaman ti propongono di vestirti come un’imbecille (certo, in alternativa ti puoi vestire etnico, ma la pancia di fuori non ha un grande successo nelle riunioni con i clienti).
Insomma, stato di grazia una beata fava.
Le donne incinte sono bellissime
Certo. Con le gambe che sembravano due tronchi e le dimensioni da balena mi sentivo bellissima anch’io. È vero che sono stata fortunata: il periodo clou della mia gravidanza si è verificato nel corso dell’estate più calda degli ultimi 300 anni (pare), quando c’erano i black out per la troppa energia elettrica consumata da frigoriferi e condizionatori, e nonostante questo, e nonostante abitassi al quinto piano di uno stabile d’epoca privo di ascensore, non ho cambiato numero di scarpe (succede, eh? anche se nessuno te lo dice prima). Non ho neanche preso tanti chili, ma sfido chiunque a prenderli, su e giù dal quinto piano.
L’unica cosa veramente bella, anzi stupenda, in quel periodo, erano i capelli. La mia situazione tricologica non è mai stata, né prima né dopo quel periodo, così straordinaria, nonostante non potessi farmi il colore. E basta.
Il sesso durante la gravidanza è meraviglioso
Qui forse qualcosa di vero c’è, peccato non averne approfittato di più. Quell’estate mio marito lavorava come un matto, tornava a casa a ore improbabili e piombava svenuto sul letto, dove spesso io stavo già dormendo da un pezzo. E in vacanza (vacanzona, quell’anno: una settimana a ferragosto sul lago) le mie dimensioni erano eccessive anche per trascinarmi a mangiare un gelato, figuriamoci rotolarsi sotto le lenzuola!
Capitolo 2: il parto
Il parto è un’esperienza straordinaria
Sì, come avere un flirt con Jack lo Squartatore. Secondo me quelle che dicono questa cosa hanno la gommapiuma al posto dei neuroni.
Fare il cammino di Santiago de Compostela è un’esperienza straordinaria, lanciarsi con il paracadute è un’esperienza straordinaria, seguire i pinguini durante la loro migrazione è un’esperienza straordinaria. Partorire è un’esperienza splatter. Chiedetelo alle ostetriche. Chiedetelo a mio marito. (Al, non smetterò mai di ringraziarti per quella ventina di ore che mi hai dedicato, e per come me le hai dedicate).
Poi si dimentica
Ragazze, che memoria corta avete! Ma come, si dimentica??? Che cosa si dimentica, esattamente??? Perché io non ho mica dimenticato niente, ma proprio niente! I suoni, le voci, i colori, gli odori, posso ancora sentirli. Il dolore? Ma dico, scherziamo? Come fai a dimenticarti della volta in cui hai creduto seriamente di aprirti in due come una cozza e ti sei trovata a chiederti come avrebbero fatto poi a ricomporti un minimo?
Questi dolci angeli del focolare che dicono di essersi dimenticati del dolore del parto, sono in realtà quelle persone che poi aggiungono: “altrimenti nessuno partorirebbe più, e l’umanità finirebbe”. Apprezzo il pensiero in una chiave strettamente demografica, ma per favore non dite baggianate. Bimbe, se sentite il crudele ticchettio dell’orologio biologico, fatevene una ragione: fate pure un bambino, se ci tenete, ma sappiate che farà un sacco male.
Tutte le donne dovrebbero partorire in modo naturale e senza epidurale
Certo, facciamoci pure smandruppare tutte, l’importante è potersi “godere quest’esperienza fino in fondo e con la massima consapevolezza”. Sapete che vi dico? Che a me invece dispiace tantissimo non aver potuto fare l’epidurale. Ma proprio tantissimo, perché un paio d’ore di beata inconsapevolezza me le sarei godute un casino. E anche mio marito.
Capitolo 3: l’allattamento
I bambini devono prendere solo latte materno
Sottoscrivo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. I neonati dovrebbero essere nutriti esclusivamente di latte materno, almeno fino a sei mesi. Nei corsi di preparazione al parto ti fanno il lavaggio del cervello, perché non ti venga in mente di sfuggire al ruolo di Frisona almeno per un annetto. Certo, non potrai bere né fumare (aridaje!), e neanche prendere caffé, né tantomeno mangiare cibi piccanti, rucola, e una serie di altre meraviglie che potrebbero risollevarti il morale tra una mungitura e l’altra.
Peccato che a volte capita che una il latte proprio non ce l’ha, c’ha i capezzoli che sembrano brufoli e prende la montata lattea per un momento fugace di eccitazione sessuale (cosa che, per inciso, è già diventata nient’altro che un pallido ricordo). Che succede a questa disgraziata?
Lo so perché la disgraziata ero io. Niente di grave, in realtà, solo allusioni del tipo: “ah, così non ti rovinerai il seno” (per la cronaca, non si rovina solo il seno, ma anche la vista e i denti), oppure, ancora più simpatica: “certo, si ammalerà un po’, visto che non gli passi i tuoi anticorpi con il latte…”, e, sempre della serie “assassina!”: “fumi??? Ma come, e il latte? Ah, già, tu hai deciso di non allattare…”, tipo che lo hai deciso per non smettere di fumare.
A questi talebani qua io sputerei in un occhio.
L’allattamento è un’esperienza di grande intimità
La mia amica Antonia (non si chiama così ma ci tengo alla privacy delle mie amiche) ha avuto un’esperienza di esaurimento nervoso molto intimo. Perché c’aveva i capezzoli così maltrattati dalla sua dolce creatura che manco si capiva più se erano capezzoli o resti di organi interni dopo un’autopsia fatta da uno stagista di Kay Scarpetta. Ecco, l’allattamento può essere anche questo. Io ho allattato – è più giusto dire che “ho attaccato Gabriele” – solo per tre giorni, poi ho smesso perché avrebbe potuto anche morire di fame, e quindi non dovrei parlare. Ma sono abbastanza convinta che l’intimità con un figlio si può stabilire anche senza allattare. E al diavolo il corso pre-parto.
Insomma, tre anni fa a quest’ora mi trovavo in contemplazione della creatura sul mio letto d’ospedale. E quando mi sono alzata e l’ho preso in braccio lui ha fatto la sua prima cacca. Sulla mia camicia da notte. Una cacca scura scura, quasi nera, e appiccicosissima, e inodore, almeno per le mie nari innamorate di mamma nuova nuova. Che impressione!
Ma, nonostante l’emozione, una cosa mi è stata chiara da subito: che tutti i luoghi comuni sulla maternità e sulle sue fasi (la gravidanza, il parto, l’allattamento) sono delle clamorose minchiate – sorry per il giro di parole, ma il tema mi rende piuttosto sboccata. Me le sono riviste tutte, capitolo per capitolo.
Capitolo 1: la gravidanza
La gravidanza è uno stato di grazia
Per chi? Per il ginecologo sicuramente, visto che la frequenza delle visite è a dir poco imbarazzante, quasi quanto il fatto in sé di trovarsi davanti a un semisconosciuto a farsi toccare e scrutare e (questo è proprio il massimo) pesare! Io non mi peso MAI in pubblico, anzi a dir la verità non mi peso affatto, tanto sono pudica su questo punto!
E poi, per tornare allo stato di grazia: ma che razza di grazia è quando ti trascini in giro con una confezione (o due) di acqua minerale appiccicata alla pancia, con degli ormoni che sembrano dei tacchini pronti per essere farciti, che la sera devi portarli fuori a fare pipì, e che ti fanno avere reazioni da adolescente? E che razza di grazia è quando non puoi più bere, non puoi più fumare (e se ti azzardi a sgarrare gli altri ti guardano come se volessero dirti “assassina!”), non puoi mangiare un sacco di cose (per via della toxoplasmosi; io non sono un’amante della carne, ma in quel periodo avrei ucciso per una fetta di salame) e i negozi prémaman ti propongono di vestirti come un’imbecille (certo, in alternativa ti puoi vestire etnico, ma la pancia di fuori non ha un grande successo nelle riunioni con i clienti).
Insomma, stato di grazia una beata fava.
Le donne incinte sono bellissime
Certo. Con le gambe che sembravano due tronchi e le dimensioni da balena mi sentivo bellissima anch’io. È vero che sono stata fortunata: il periodo clou della mia gravidanza si è verificato nel corso dell’estate più calda degli ultimi 300 anni (pare), quando c’erano i black out per la troppa energia elettrica consumata da frigoriferi e condizionatori, e nonostante questo, e nonostante abitassi al quinto piano di uno stabile d’epoca privo di ascensore, non ho cambiato numero di scarpe (succede, eh? anche se nessuno te lo dice prima). Non ho neanche preso tanti chili, ma sfido chiunque a prenderli, su e giù dal quinto piano.
L’unica cosa veramente bella, anzi stupenda, in quel periodo, erano i capelli. La mia situazione tricologica non è mai stata, né prima né dopo quel periodo, così straordinaria, nonostante non potessi farmi il colore. E basta.
Il sesso durante la gravidanza è meraviglioso
Qui forse qualcosa di vero c’è, peccato non averne approfittato di più. Quell’estate mio marito lavorava come un matto, tornava a casa a ore improbabili e piombava svenuto sul letto, dove spesso io stavo già dormendo da un pezzo. E in vacanza (vacanzona, quell’anno: una settimana a ferragosto sul lago) le mie dimensioni erano eccessive anche per trascinarmi a mangiare un gelato, figuriamoci rotolarsi sotto le lenzuola!
Capitolo 2: il parto
Il parto è un’esperienza straordinaria
Sì, come avere un flirt con Jack lo Squartatore. Secondo me quelle che dicono questa cosa hanno la gommapiuma al posto dei neuroni.
Fare il cammino di Santiago de Compostela è un’esperienza straordinaria, lanciarsi con il paracadute è un’esperienza straordinaria, seguire i pinguini durante la loro migrazione è un’esperienza straordinaria. Partorire è un’esperienza splatter. Chiedetelo alle ostetriche. Chiedetelo a mio marito. (Al, non smetterò mai di ringraziarti per quella ventina di ore che mi hai dedicato, e per come me le hai dedicate).
Poi si dimentica
Ragazze, che memoria corta avete! Ma come, si dimentica??? Che cosa si dimentica, esattamente??? Perché io non ho mica dimenticato niente, ma proprio niente! I suoni, le voci, i colori, gli odori, posso ancora sentirli. Il dolore? Ma dico, scherziamo? Come fai a dimenticarti della volta in cui hai creduto seriamente di aprirti in due come una cozza e ti sei trovata a chiederti come avrebbero fatto poi a ricomporti un minimo?
Questi dolci angeli del focolare che dicono di essersi dimenticati del dolore del parto, sono in realtà quelle persone che poi aggiungono: “altrimenti nessuno partorirebbe più, e l’umanità finirebbe”. Apprezzo il pensiero in una chiave strettamente demografica, ma per favore non dite baggianate. Bimbe, se sentite il crudele ticchettio dell’orologio biologico, fatevene una ragione: fate pure un bambino, se ci tenete, ma sappiate che farà un sacco male.
Tutte le donne dovrebbero partorire in modo naturale e senza epidurale
Certo, facciamoci pure smandruppare tutte, l’importante è potersi “godere quest’esperienza fino in fondo e con la massima consapevolezza”. Sapete che vi dico? Che a me invece dispiace tantissimo non aver potuto fare l’epidurale. Ma proprio tantissimo, perché un paio d’ore di beata inconsapevolezza me le sarei godute un casino. E anche mio marito.
Capitolo 3: l’allattamento
I bambini devono prendere solo latte materno
Sottoscrivo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. I neonati dovrebbero essere nutriti esclusivamente di latte materno, almeno fino a sei mesi. Nei corsi di preparazione al parto ti fanno il lavaggio del cervello, perché non ti venga in mente di sfuggire al ruolo di Frisona almeno per un annetto. Certo, non potrai bere né fumare (aridaje!), e neanche prendere caffé, né tantomeno mangiare cibi piccanti, rucola, e una serie di altre meraviglie che potrebbero risollevarti il morale tra una mungitura e l’altra.
Peccato che a volte capita che una il latte proprio non ce l’ha, c’ha i capezzoli che sembrano brufoli e prende la montata lattea per un momento fugace di eccitazione sessuale (cosa che, per inciso, è già diventata nient’altro che un pallido ricordo). Che succede a questa disgraziata?
Lo so perché la disgraziata ero io. Niente di grave, in realtà, solo allusioni del tipo: “ah, così non ti rovinerai il seno” (per la cronaca, non si rovina solo il seno, ma anche la vista e i denti), oppure, ancora più simpatica: “certo, si ammalerà un po’, visto che non gli passi i tuoi anticorpi con il latte…”, e, sempre della serie “assassina!”: “fumi??? Ma come, e il latte? Ah, già, tu hai deciso di non allattare…”, tipo che lo hai deciso per non smettere di fumare.
A questi talebani qua io sputerei in un occhio.
L’allattamento è un’esperienza di grande intimità
La mia amica Antonia (non si chiama così ma ci tengo alla privacy delle mie amiche) ha avuto un’esperienza di esaurimento nervoso molto intimo. Perché c’aveva i capezzoli così maltrattati dalla sua dolce creatura che manco si capiva più se erano capezzoli o resti di organi interni dopo un’autopsia fatta da uno stagista di Kay Scarpetta. Ecco, l’allattamento può essere anche questo. Io ho allattato – è più giusto dire che “ho attaccato Gabriele” – solo per tre giorni, poi ho smesso perché avrebbe potuto anche morire di fame, e quindi non dovrei parlare. Ma sono abbastanza convinta che l’intimità con un figlio si può stabilire anche senza allattare. E al diavolo il corso pre-parto.
mercoledì, settembre 06, 2006
PNL, tailleur e passeggini
Dieci anni fa, durante una seduta di PNL, mi immaginai come sarei stata tra dieci anni. Ecco come: tailleur blu, professionale ma molto glam, capelli corti, e parlavo ad una piccola e attenta platea. Qualche anno più tardi ero esattamente così (tranne che per i capelli, quelli li ho tagliati più tardi).
E poi è arrivato mio figlio, e nonostante non ne avessi alcuna voglia, da donna in carriera sono diventata mamma in corriera.
Non ho cambito lavoro, ma per far funzionare la testa ho scoperto altri mondi: l'arte e la moda, ad esempio, cose che se stacchi la spina dalla presa sono sempre lì (privilegio, di questi tempi, degli artisti, degli artigiani e di pochi altri).
Questo blog nasce per questo. Per parlare di donne che non sono e non vogliono essere solo mamme, delle cose che si possono fare anche stando dietro a un passeggino, delle intuizioni che si possono avere nella sala d'aspetto del pediatra e che col pediatra non c'entrano proprio niente.
Ah! Il tailleur blu l'ho resuscitato, ora è in tintoria, poi forse gli cambio i bottoni, e quest'inverno sarà... professionale e molto glam!
E poi è arrivato mio figlio, e nonostante non ne avessi alcuna voglia, da donna in carriera sono diventata mamma in corriera.
Non ho cambito lavoro, ma per far funzionare la testa ho scoperto altri mondi: l'arte e la moda, ad esempio, cose che se stacchi la spina dalla presa sono sempre lì (privilegio, di questi tempi, degli artisti, degli artigiani e di pochi altri).
Questo blog nasce per questo. Per parlare di donne che non sono e non vogliono essere solo mamme, delle cose che si possono fare anche stando dietro a un passeggino, delle intuizioni che si possono avere nella sala d'aspetto del pediatra e che col pediatra non c'entrano proprio niente.
Ah! Il tailleur blu l'ho resuscitato, ora è in tintoria, poi forse gli cambio i bottoni, e quest'inverno sarà... professionale e molto glam!
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