Sarà per il racconto di mia sorella, sarà per il bellissimo libro che ho appena finito di leggere, ma in questi giorni il tema dell’emigrazione ritorna sempre più spesso.
Io sono un’emigrante. Non avevo valigie con lo spago, ma la sostanza non cambia. Mentre è cambiato il fatto che essere andata via è una specie di colpa (“eh, sì, tu te ne stai a Milano!”), atto di infinito egoismo che dovrò pagare per sempre. A meno che, naturalmente, non decida di tornare. In quel caso avrò fallito (“ma che si era messa in mente di fare?”), ma insomma alla fine, come il Figliol Prodigo, un vitello grasso forse verrebbe sacrificato.
Ci sono due temi sui quali i miei concittadini tornano periodicamente, animati da uno spirito che ancora mi rifiuto di decifrare, a distanza di tanti anni. Io ho lasciato Potenza a 19 anni, per andare all’Università a Bologna (“Vai al Dams??? Ma là ci sono i drogati!”, oppure “Ma dai, vai a fare l'attrice!”), e naturalmente i miei non volevano. Comunque la mia idea non era quella di andarmene per sempre, e in effetti fino alla laurea ho pensato di tornare. Poi le cose sono andate diversamente. Non sempre le nostre scelte sono coerenti, per fortuna.
Comunque dicevo che di solito la discussione si articola su due temi, abbastanza in contraddizione tra loro:
1. beata te che te ne sei andata
2. si fa presto ad andarsene, il difficile è rimanere
Sottoscrivo entrambe le affermazioni. Anzi, siccome fa più figo, quoto. Non si tratta di un sintomo di disturbo bipolare, perchè entrambe contengono una qualche verità.
E però.
Beata te che te ne sei andata
In effetti devo dire che sono mediamente più contenta di molti di quelli che sono rimasti. O meglio: la mia percezione è di essere più contenta. Nel senso che, superato lo scoglio veramente tragico del lavoro, chi è rimasto ha una vita tranquilla, la famiglia vicina, gli amici d’infanzia che ancora incontra quando fa una passeggiata in centro all’ora dell’aperitivo. Però non ha la vita rutilante di Milano, le feste, le nottate interminabili in locali fichissimi, tutto questo trendy che ti sommerge, e non fa mestieri che nessuno capisce cosa siano ma ti fanno fare sempre tardi in ufficio, tra meeting e briefing e altre cose in –ing che si portano un sacco. E allora le loro vite a volte mi sembrano soffocanti. Poi penso che neanch’io faccio tutta questa vita, perchè in fin dei conti la sera esco dall’ufficio e torno a casa, metto a letto il bimbo e guardo la TV, tutt’al più navigo un po’ (cosa che si può fare anche a Potenza). Però beata me. Vivo in una città dove i trasporti pubblici funzionano, anche se molti se ne lamentano, e ci sono un sacco di servizi, e la logica per fare un documento non è quella del “conosco uno al Comune”. Quindi forse sì, beata me. Solo perchè ho acquisito il senso di alcuni miei diritti, e non li considero più favori. Poi che metà dei soldi che entrano in casa finiscano in mutuo, baby sitter e spese condominiali (ho un amministratore che ancora devo capire che gioco fa...), non importa. Che cos’è mai questo, davanti al fatto di vivere come in un’eterna vacanza, insomma di essere praticamente una turista della vita!
Si fa presto ad andarsene, il difficile è rimanere
Difficile è difficile, rimanere. Ci vuole un gran coraggio. Non che ad andarsene ce ne voglia meno, a dir la verità. Perchè sbarcare in una città che non conosci e doverti organizzare da zero, senza poter contare su nessuno, non è esattamente una passeggiata. Devi imparare ad affrontare il non conosciuto, ma in un modo diverso da come te lo hanno insegnato i tuoi. Io per esempio ho dovuto imparare a fidarmi. Anche se non sapevo chi avevo davanti. Ho imparato che non tutti sono lì apposta per fregarti, e che se chiedi un’informazioni quasi sempre te la danno. A meno che non siano nelle tue stesse condizioni. Chi rimane no, ha tutte le certezze: la casa che gli ha lasciato la nonna, la mamma che gli tiene i bambini e che di tano in tanto gli fa da mangiare, e soprattutto che è lì per guarire le ferite, quando ce n’è bisogno (ovvio che la mamma non è necessariamente la mamma. La mamma è uno stato dell’anima). E invece io, vigliacca, me ne sono andata. Ho voluto per forza provare i miei limiti. Ho lasciato tutti nella palta, che facessero pure le loro battaglie. Io sono andata a fare la turista.
Ecco, io non gliel’ho mai detto, ai miei concittadini, ma quando mi dicono così non li sopporto. Anzi, se non fossi sufficientemente civilizzata da considerare il gioco di mano un gioco da villano, li menerei proprio. Non prima di aver fatto loro notare che non sono un’emigrante, ma una turista.
Il libro bellissimo si intitola Scontro di civiltà per un ascensore in piazza Vittorio. Consiglio caldamente. Soprattutto se ve la state spassando facendo i turisti.
Update: Gianluca ha pubblicato ieri un annuncio di lavoro in cui si cercano blogger con requisito minimo la laurea al Dams. Non so come interpretare la cosa: vuol dire forse che i blogger sono tutti drogati? ;)
14 commenti:
Io sono andata e poi tornata.
Ora sono sempre in bilico tra la voglia di andare e quella di restare. per adesso ho scelto di restare perchè ho delle responsabilità... ma non escludo che un giorno andrò.
io ti direi beata te solo perchè hai deciso e hai fatto quello che volevi.
forse è solo questo il motivo per cui te lo si dice :)
baci mamma
Si, giuly l'invidia è una brutta cosa!!!Anche io ho fatto l'esperienza di un anno fuori casa, ma ha fatto 1 grave errore...Per non essere troppo lontana da casa me ne sono andata a sassari che è più piccola e provinciale di cagliari...Sono stata malissimo e ho capito che se ti trasferisci dei sempre andare in posti più 'grandi' e 'ricchi'(culturalmente, di popolazione..) di casa tua...Se no il confronto non regge!
Io c'ho (tanto per cambiare) la terza opzione: Difficile è tornare a casa. L'emigrato di ritorno. Quello che aveva il lavoro più bello del mondo, guadagnava bene, casa, amanti, cibo a volontà, un bel conto in banca. Che decide di tornare. Potenza, Roma, Milano. Non fa differenza. Io sono ancora nella fase di difficoltà. Spero di vedere presto la luce!
P.S. Certo che lo struscio a Potenza è di una tristezza inenarrabile...l'ho fatto qualche volta, e ne sono rimasta provata....mi sa che comunque, come la metti la metti, anche a casa davanti alla tv, Milano è meglio....
Non è bello essere turisti, tu sei una viaggiatrice. E' meglio del turista e non ha le connotazioni dell'emigrante. Il viaggiatore è libero e può fermarsi o tornare a casa, è lui/lei a decidere e nessun altro.
@brigida: è vero, scegliere non ha prezzo, e io ho scelto. però non sono convinta che sia quello il punto, sul "beata te..."
@la coniglia: e certo che non si deve fare quest'errore! già quando te ne vai hai i tuoi problemi, se poi non hai neanche dei vantaggi all'altezza della situazione sei finita!
@meringa: annachià, spiegami come mai hai fatto lo struscio in via pretoria. davvero, lo voglio sapere. potenza è una di quelle città dove vai perchè ci sei nato o perchè ti sei perso, ma non puoi aver voglia di andarci!
e comunque sì, ritornare è difficile. ho degli amici che l'hanno fatto - e che mi hanno convinto definitivamente che io non tornerò
@maurizio: ovviamente il mio riferimento al "turista" era ironico. e tuttavia mi chiedo due cose: come si fa a fare i viaggiatori quando hai le responsabilità di famiglia e lavoro, e quali siano le connotazioni di "emigrante"... mi lasci con un grosso punto interrogativo
il viaggiatore è una condizione anche mentale, si può viaggiare anche con la mente ed essere qui e anche li. Il turista cerca la spiaggia, il viaggiatore vuole scoprire. La mia era solo una metafora, come pensavo fosse la tua.o
maurizio: naturalmente, anche la mia lo era :)
Eh, cara mia, diciamo che in gioventù ebbi scambi epistolari con abitanti potentine. Sai quelle cose che si fanno (o si facevano?) verso i 14 anni. E capitò che andassi a trovare le mie amiche. Via Pretoria è veramente la quintessenza della deprescion...
Ah, dimenticavo, di maschi manco a parlarne. Mi arrivavano alla cintola....
Mi piace viaggiare ma preferisco tornare, mi piace sentire l'odore di casa. Dovunque sono andato per piacere o lavoro al momento del ritorno ho sempre riassaporato anche il più piccolo cambiamento come di un manifesto sulla strada di casa. In un certo senso ho sempre capito Sordi e il suo non volersi spostare troppo. Poi lo struscio a Roma non è poi così male ;)
ps: anna non ti si conosce mai abbastanza :)
annachiara, non è che mò devi offendere per forza, eh? :)))
ale, infatti credo che roma sia naturalmente tagliata fuori dal discorso....
Ma, in fin dei conti, ha senso parlare di emigranti in una società globalizzata? Fin da tempi non sospetti (i miei figli hanno 21 1 27 anni, una a Perugia e l'altro a Parigi) ho insegnato loro che la loro casa e la loro patria è dove trovano lavoro.
Io, Marco Polo veneziano, abito tra le montagne trentine, dopo aver vagato con valigia e mobili al seguito, per quasi tutta la regione.
e dai giulià, mica che offendo. E' che io sono naturalmente fuori gioco col maschio lucano, datosi il mio metro e ottantatre...E ti dirò di più, che quella era l'età dell'ormone pazzo, e che qualche storiella non mi sarebbe dispiaciuta, anche a 500 km da casa....
X popAle: e sapessi quanti giolli c'ho ancora nella manica!
Come si dice da noi, sono andato "in Continente" a fare il turista, trovando una professione che mi permette di fare la cosa che mi piace di più e che giù, di fatto, non esiste neppure a Cagliari.
Ciò non di meno provo un filo d'invidia per chi ce l'ha fatta a restare. Quando scendo noto la diversa velocità con cui scorrono le loro giornate, la facilità irrisoria con cui staccano fisicamente e mentalmente dal lavoro, l'accettazione dei limiti imposti dalla vita di paese.
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