giovedì, luglio 21, 2011
#donnexdonne L’azienda e il nido
Sono stata fortunata, con le donne che ho incontrato nel corso della mia vita. Dalla scuola all’università e poi al lavoro, le donne che hanno costellato la mia vita sono sempre state donne forti, pragmatiche, brave, e capaci di fare squadra. Tranne poche eccezioni, ahimè in alcuni casi poste in posizione chiave. Per esempio il nido.
L’azienda per la quale lavoravo aveva tra i suoi dipendenti una baby sitter, la mitica Maria, 40 anni e tre figli in Perù più una con lei, tondetta e sorridente. Maria stava a guardia di una stanzetta destinata in origine ai figli dei soci, che, riprodottisi in contemporanea, avevano valutato che fosse opportuno che la tata la pagasse l’azienda invece che loro. Fatto sta che ogni tanto anche altri bambini transitavano per la stanzetta, che chiamavamo “la nursery”. Il fatto era, però, che questo posto non era in regola proprio per niente, e se un bimbo si fosse rotto la testa, per dire, l’amministratore delegato sarebbe finito in galera.
Questa la situazione quando sono andata in maternità. Quattro mesi più tardi ho realizzato che dovevo accelerare i tempi del rientro o io e il piccolo avremmo fatto un volo dal quinto piano, tanto non ci stavo più dentro. E mi è tornata in mente la nursery. E mi sono tornate in mente Simonetta e Roberta, rientrate da poco al lavoro e come tutte con grandi problemi di logistica filiale (i nidi normali accettavano bambini a partire dall’ottavo mese di età, troppo per me/ per noi). Ho deciso che s’aveva da fare, e che l’avrei fatto io, il mitico nido aziendale.
Ed ecco la donna nella posizione chiave: la responsabile delle risorse umane. La quale al primo incontro mi significò che non ce n’era mezza, spendere dei soldi e poi assumersi tutte quelle responsabilità come azienda, per le mamme, poi, che erano già tra color che son sospesi: ma quando mai. Le proposi un’alternativa: avrei creato un’associazione tra i dipendenti (eravamo in tanti, i numeri c’erano, e anche i bambini) che si sarebbe preso il nido in gestione, l’azienda sarebbe stata fuori dai giochi, ci bastava che ci lasciassero il locale fisico e Maria. Dopo un’estenuante trattativa mi dette l’ok.
Ci organizzammo così: Roberta faceva le tessere e il sito del nido, Simonetta andava a battere cassa tra i dirigenti, io mi smazzavo tutto il lavoro fuori. Tutte facevamo conoscere in giro l’idea e reclutavamo soci per l’associazione dei dipendenti. Diventai amica di un commercialista simpaticissimo, di vari impiegati dell’ASL e del Comune, di una buona metà dei proprietari di nidi privati di Milano. In due mesi feci milioni di telefonate e di visite in svariati uffici, riunioni su riunioni con colleghi all’inizio dubbiosi e poi sempre più convinti, ancora qualche incontro di cortesia con la responsabile del personale per allinearla sui progressi e per convincerla a firmare l’accordo (essenziale per non ritrovarci senza una sede da un giorno all’altro).
“La casa dei monelli” nacque un giorno piovoso di gennaio. La prima assemblea dei soci dell’associazione dei genitori fu un successo. Avevamo tutti voglia di prenderci questa responsabilità, ma soprattutto avevamo tutti voglia di un posto sicuro in cui tenere i nostri bambini, i figli dell’Internet.
I primi tempi furono deliranti. Trovati i fornitori (serviva almeno un’altra persona fissa per poter tenere fino a 8 bambini, e le richieste avevano cominciato a fioccare), si doveva organizzare la mensa, definire ruoli e responsabilità, occuparsi dell’amministrazione (un’altra donna fantastica, Paola, responsabile dell’amministrazione dell’azienda, si prese in carico questo compito così spinoso), dirimere le frequentissime liti tra Maria e le tate esterne. La mia vita professionale prese una china particolare: nonostante fossi stata demansionata perché colpevole di maternità, decisi di non rinunciare alle due ore di allattamento che mi spettavano fino all’anno di età del bambino, e quelle due ore le passavo a tenere in vita il nido, che ancora non poteva andare sulle sue gambe.
Ottenemmo condizioni per l’epoca straordinarie per un nido: i bambini sarebbero stati accettati fin dalla fine della maternità obbligatoria (dal terzo mese di vita), si seguiva l’orario e il calendario aziendale (significa che anche il giorno di Natale, se l’azienda fosse stata aperta, il nido sarebbe stato operativo), e se un bimbo era malato il nostro fornitore ci mandava una babysitter a casa a prezzi ridicoli.
Spesso non riuscivamo ad andare a prendere i bimbi alle 18 in punto, e allora Maria ce li portava, passegginomuniti, alla scrivania. Oppure Maria arrivava tardi, e allora una delle mamme si fermava a tenere i bambini fino al suo arrivo. Ogni tre mesi circa la responsabile delle risorse umane mi convocava per comunicarmi che stavano pensando di chiudere il nido, e di trovare soluzioni alternative. E ripartiva il circo: ricerca di fornitori, ricerca di sedi alternative, preventivi, regolamenti. Poi tutto rientrava, miracolosamente. Cioè, un po’ per miracolo e un po’ perché nel frattempo nel nido erano entrati anche pargoli d’oro, per dir così. E insomma La Casa dei Monelli è durata circa sei anni. Poi l’azienda ha cambiato sede e ciao.
Considero tuttora il nido aziendale uno dei miei progetti meglio riusciti. Per sei anni ho avuto colleghi meno assillati all’idea di dove tenere i bambini, più sereni anche quando i pupi si ammalavano. E oggi non potrei neanche concepire un’azienda senza un servizio del genere, alla faccia della responsabile delle risorse umane. Per me è una buona prassi, buona assai. Per voi?
Qui tutti i link ai post pubblicati.
Un grazie speciale a Monica, che anche lei, quando si sbatte si sbatte.
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12 commenti:
Non ho ancora figli, ma sono convinta che i nidi aziendali siano utilissimi! Spero che quando ne avrò bisogno ci sarà anche nella mia! :-)
:-O
Allora non è un miraggio nel deserto?!!?
No che non è un miraggio, ma attenzione, non è neanche un diritto. Quello che mi è piaciuto di più di questa esperienza è il fatto che sia venuta dal basso (io e due colleghe, più basso di così...), e trovo in questo un grande insegnamento
davvero complimenti per aver preso in mano la situazione come hai fatto tu con l'aiuto dei tuoi colleghi! ci si lamenta tanto dell'assenza di servizi di questo tipo qua da noi ma è vero, qualche volta si può provare a chiederli e realizzarli 'dal basso', senza aspettare che un datore di lavoro 'illuminato' abbia l'idea (e la voglia) di farli. per quanto mi riguarda dopo anni di precariato (sedi di lavoro diverse, lavori saltuari...) e con un figlio in un nido privato dall'altra parte della città, sono stata assunta in un'azienda che dispone di un asilo aziendale nello stesso edificio in cui c'è il mio ufficio, a cui ho ovviamente già iscritto il mio secondo figlio che però ancora non è nato. complice il fatto che il mio capo ha due figli piccoli, ma trovo che la presenza di questo asilo aziendale sia un buon segno e non possa che portare giovamento all'azienda (anche se per il momento i figli dei dipendenti non sono molti). racconterò nel mio blog le mie impressioni su questa esperienza quando sarà il momento, per adesso ho ancora i mesi di maternità obbligatoria da iniziare... ;-)
direi che è commovente, se non fosse così limitato: alle grandi aziende, ad altri paesi, ad alte sensibilità. e quegli sfigati che lavorano per aziende piccole??? no, non era l'argomento che volevi affrontare tu, ma mi è saltato nella testa. bellissimo post!
splendida iniziativa, davvero complimenti
Cose che vanno assolutamente raccontate!
Giuliana sono esterrefatta! Che tenacia e che visione del futuro ci vogliono per un progetto del genere... Anche io volevo lanciarmi nell'impresa ma leggo qui che è veramente titanica. Ma se trovassi qualche alleata...
Graie per questo racconto, non sai che voglia di fare mi ha risvegliato! E complimenti!
Ciao! Ti volevo solo avvisare che ho una nuova casa!
http://faisorridereancheiltuofegato.blogspot.com/
A presto!
Un segno di civiltà
Beh, santo cielo, questa è proprio buona prassi! Altro che chiacchiere...
Le piccole aziende possono organizzarsi, creare nidi che ne servano più di una e che possano ospitare anche bambini "di fuori". A Milano qualcuno l'ha fatto, ed è talmente utile e gratificante il risultato che secondo me vale sempre la pena di tentare. Poi, certo, non è facile, bisogna sbattersi parecchio, perché è un lavoro a tutti gli effetti (c'è gente che ci campa sulla creazione dei nidi, non ce ne dimentichiamo), ma dopo qualche mese di sofferenza le ruote iniziano a girare e diventa molto più sostenibile. Provateci, non fatevi scoraggiare. Se ce l'ho fatta io, se ce l'abbiamo fatta noi, che avevamo l'azienda contro, possono farcela tutti. Al lavoro!
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