Oggi esagero e faccio il bis, per la scuola. Sapevo che aveva qualcosa da dire anche la mia amica e collega Emanuela. Ed ecco che cosa ha raccontato.
(#scuolaitaliana, #bloggerperlascuola, http://www.facebook.com/event.php?eid=210198948991794).
Accetto volentieri l’invito di Giuliana come ospite per un post sulla scuola pubblica perché mi sento parecchio coinvolta: ho una mamma ex insegnante, una sorella insegnante precaria, un marito insegnante universitario e poi un considerevole numero di parenti che fanno parte o hanno fatto parte della categoria. Tutti rigorosamente nella scuola pubblica. Tutte persone che hanno dedicato una vita o la stanno ancora dedicando alla missione più difficile e densa di responsabilità che esista in ambito professionale: formare le persone all’interno della società civile.
In tempi non tanto lontani la scuola pubblica ha significato il riscatto dall’ignoranza di una popolazione prevalentemente contadina, che non aveva strumenti per integrarsi dignitosamente all’interno di un sistema di valori che stava rapidamente mutando.
Si racconta che un tempo c’era una scuola (lo ha detto Camilleri a “Parla con me”) che forniva le basi per imparare a camminare da soli e a costruirsi una vita consapevole e aspirazionale.
Era una scuola che funzionava come fattore di coesione sociale, che toglieva i bambini dalla strada o dal lavoro in tenera età, che faceva emergere le potenzialità intellettuali degli emarginati. E non poteva che essere emanazione di uno Stato che desiderava sopra ogni cosa lo sviluppo del paese e la crescita dei propri cittadini.
La scuola pubblica era abbastanza in linea con quella che vuole Giuliana. Certo con un sacco di problemi e imperfezioni ma, si sa, non siamo in Svizzera e poi la scuola è fatta di persone. Abbiamo avuto esempi di istituzioni scolastiche prese come modello a cui riferirsi; ci sono testimonianze di esperienze scolastiche vissute all’estero che raccontano di qualità di molto inferiore a quella della scuola pubblica italiana.
Ma ora che sta succedendo?
Io non posso che vederla così: lo sviluppo e la crescita dei cittadini non sono più nell’agenda del nostro paese. La collettività e la coesione non sono un valore e tantomeno l’istruzione, come forma di libertà e consapevolezza di sé, e la cultura come strumento per affermarsi e creare ricchezza per tutti.
Ho un figlio che ha appena terminato il ciclo scolastico con l’esame di stato. Da un lato con sollievo, dall’altro con amarezza, devo constatare che è riuscito, per un soffio, a fruire di una scuola pubblica ancora a livelli accettabili.
Ha terminato le elementari e hanno tolto il tempo pieno; poi è venuta la volta delle medie: fine delle sperimentazioni di bilinguismo quando è uscito; infine si è maturato nell’anno in cui sono stati riformati i licei. Anche in questo caso le sperimentazioni, in atto da circa 15 anni nel liceo che frequentava, sono state soppresse. E gli ultimi due anni sono stati una pena: non c’erano più i soldi per i supplenti e non so quante ore di didattica abbia perso quando un prof si beccava l’influenza (capita!).
Non voglio entrare nel merito delle capacità delle singole persone che appartengono alla struttura della scuola pubblica: c’è già abbastanza dibattito sui buoni e cattivi professori, sull’ingerenza o meno dei genitori, sulla bontà delle scuole del centro rispetto a quelle di periferia ecc.
E mi lascia anche ogni volta molto perplessa il dibattito che si scatena tra le mamme quando giunge il momento di affrontare l’ingresso a scuola. Per me, come per tutti i miei coetanei, il problema non si poneva: la scuola pubblica era quella di quartiere.
La rimpiango? Non lo so, mi sono imposta di non rimpiangere mai il passato. Ho gli incubi notturni? Sì, a volte mi sogno ancora che non sono capace di leggere la metrica greca e vengo bocciata alla maturità. Oppure che l’esame di maturità non l’ho proprio ancora sostenuto!
Ma per me questa è un’altra storia, sicuramente.
1 commento:
Condivido pienamente.
Nadia
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