lunedì, ottobre 08, 2012
Il community manager e (è?) l’amministratore delegato
Durante i miei corsi di formazione dico sempre che qualunque messaggio venga veicolato da un’azienda attraverso uno strumento social rappresenta l’azienda, è come se l’avesse scritto l’amministratore delegato. Del resto in Italia è assai poco praticata la strada di dichiarare l’identità del community manager (scelta che sarebbe gradita assai da parte della comunità, visto che in questo modo le persone sentirebbero di parlare con una persona e non, supponiamo, con una marca di assorbenti). Da questa considerazione nasce il doppio autogol della simpatica azienda che, attaccata perché faceva ironia sul terremoto, rispondeva ai suoi (ex?)fan su Facebook in questo modo:
Doppio perché non solo è evidente che l’azienda ha fatto una gaffe, ma è chiaro pure che la dichiarazione della “direzione” è uno scaricabarile di cattivo gusto.
Succede tuttavia, qualche settimana fa, che un community manager risponde in modo particolarmente brillante ad un twit di una utente – non follower del profilo aziendale – e che la cosa viene notata. Se ne parla un sacco su Facebook. Questo è il twit in questione:
Ora, se il mondo è piccolo, quello social lo è ancora di più. Caso vuole che conosco il community manager che ha fatto ciò. So anche che rivelare la sua identità sarebbe una bella cosa per la sua (peraltro già solida) reputazione. Non sapendo come fare, soprassiedo. Fino a quando Young Digital Lab non decide di istituire il Community Manager Award, premio del tutto unofficial, che vede nel suo red carpet proprio il twit del mio amico (o dovrei dire del cliente del mio amico?). A questo punto però la comunità, nella persona di Domitilla, fa saltar fuori il nome, con classe e in modo circostanziato com’è sua abitudine. Lodi a Zio Burp.
Di una cosa abbastanza contigua a questa avevo già scritto in passato. Perché io sono più brava a far domande che a dare risposte. E, lungi dall’aver risolto l’enigma che mi ponevo allora, continuo a raffigurarmi un corto circuito: quello tra il CM e l’AD dell’Azienda. Corto circuito che più o meno suona così.
• Nel momento in cui un’azienda twitta (o scrive su FB, vabbè, ci siamo capiti) qualcosa, è come se a parlare fosse l’AD, visto che non è menzionata la persona che lo fa fisicamente.
• Se la cosa è particolarmente riuscita, è merito dell’azienda, dunque, e incide positivamente sulla sua reputazione.
• Un CM è bravo non solo quando ottiene reputazione per l’azienda, ma anche se si rapporta bene alla community: magari il brand non mi dice granché, ma il suo CM è simpatico e twitta cose interessanti, per cui lo seguo. Oppure, anche, seguo un brand perché me l’ha segnalato uno che ha una buona reputazione, e quindi dirà sicuramente cose interessanti.
• Quindi, se un CM ha una buona reputazione, l’azienda ne trarrà beneficio per la sua reputazione.
• Ma abbiamo detto che il CM è – in linea teorica – l’AD dell’azienda. Solo che io conosco il CM, non l’AD.
Quindi: ha senso, nel momento in cui un CM fa una cosa (molto bella o molto brutta, insomma una cosa che si nota), che diventi persona e smetta di essere l’AD? O non ha più senso che l’azienda smetta di firmarsi “Azienda” e inizi a firmarsi “Pinco Pallo per Azienda”?
Continuate voi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
13 commenti:
Tu scrivi: "Nel momento in cui un’azienda twitta (o scrive su FB, vabbè, ci siamo capiti) qualcosa, è come se a parlare fosse l’AD, visto che non è menzionata la persona che lo fa fisicamente."
Nonostante le tue considerazioni, penso sia giusto così. 100 anni fa mi hanno insegnato che il buon responsabile comunicazione non appare mai. Io come azienda pagherei un'agenzia per parlare a mio nome, non per mettere in mostra un suo collaboratore, pure se il migliore. Utilizzare la buona fama del CM a vantaggio del cliente non è un'idea sbagliata, ma penso che possa fare presa su 200 social-persone in tutta Italia :-)
come potrei non essere d'accordo con te, MdiMS. tuttavia le 200 persone su cui fa presa l'attività di pinco pallo sono, per dirla con le aziende, 200 influencer. facciamo due conti: consideriamo che ognuna di queste persone abbia 2000 contatti tra FB e Tw, fanno 400.000 contatti potenziali solo al primo giro. a me sembrano una marea. da cui l'importanza, per il cm o il digital pr, di essere uno "introdotto", se no va bene anche mio cuggino.
...
Perchè?
Di solito il sito non lo fa il cugino? :-D
No, alla fine dopo lungo pensiero concludo che io come azienda non confonderei la mia voce con quella di una persona fisica determinata, che magari - come di solito accade . segue anche altri account di altre aziende. Ha una sua reputazione e cannibalizza la MIA, di reputazione, che devo costruire....sarebbe diverso stringere una collaborazione con un blogger o un altro professionista della rete che tiene un blog o scrive per u progetto con un suo stile personale, sarebbe un altro tipo di collaborazione. Il community invece deve anche poter cambiare (ipotizzo) senza che i messaggi dell'azienda e la capacità di coinvolgere le persone cambino per questo.
@flavia. giusto. c'è da dire che dubito che una persona possa cannibalizzare la reputazione di un'azienda, quando ne trovi uno così presentamelo.
però se l'azienda deve/vuole parlare con delle persone, è giusto che lo faccia attraverso una persona e non attraverso un logo, no? la vera relazione non è con il brand ma con chi gestisce il brand (abbiamo svariati esempi di quando ci siamo rivolti a una persona in particolare di un team di cm e sappiamo che i problemi si risolvono così, non rivolgendosi a un generico account).
comunque mi consola sapere che faccio formazione non dico cavolate :)
Io concordo sia con Giuliana nel senso che se un CM fa bene il proprio lavoro e gestisce bene il profilo dell'azienda va riconosciuto. Insomma, affidare la brand reputation di una grande azienda a una singola persona è una grossa responsabilità (vedi il caso della figura di merda di Brux che passerà agli annali!!) pertanto le responsabilità hanno grandi costi che vengono remunerati non solo con i soldi ma con il consolidamento del proprio cv, della propria reputation (del cm intendo) etc...
Concordo anche con Flavia, però, nel dire che io, come utente e consumer, preferisco sapere con chi parlo e chi c'è dietro a un brand. Così come quando, spessissimo, quando vedo un bel progetto pubblicitario cerco di capire chi è l'agenzia che è dietro. Ma forse è un ragionamento da "addetti ai lavori"? E quindi un po' sporco?
Comunque non sono mica di parte eh? Che andate a pensare!!
(Giu, TE PREGO, leva quel captcha!!!)
Ho scritto come una fatta di Redbull. Sono dal cell. Sorry
@bismama, a me sembrava che flavia dicesse il contrario, e cioè che il cm non si deve sapere...
(non posso togliere i capcha, mi arriva un sacco di schifezza)
(eri fatta di redbull? vabbè, finché è legale... :D)
Si, in effetti, Flavia diceva il contrario. Manca il mio pezzo in cui dico che concordo nel fatto che la reputazione "cattiva" di un cm, potrebbe sporcare il brand in diversi modi. La cannibalizzazione, credo sia possibile. Alcune volte, qui sul web, è stata ricordata una particolare campagna pubblicitaria solo perché fatta dal tale blogger che ha portato visibilità e prestigio ma, allo stesso tempo, ha oscurato un po' il brand. Esempio: io non bevo RedBull (LOL) ma se tu, blogger che seguo, fossi la CM di redbull ti seguirei. Ciò non significa che mi fidelizzerei al marchio. Quindi, si al fatto di conoscere il cm ma da questo non credo ci si debba aspettare numeri...
è vero, forse non faccio numeri importanti, ma numerelli sì, e di qualità. quanto alla fidelizzazione al marchio, beh, quello non dipende "solo" dal cm ;)
"Ma da questo non credo ci si debba aspettare numeri"
"Da questo" inteso come conoscenza dell'identità del comunity manager eh.
Tu fai numeri... anche circensi!! :**
Io invece sarei per l'identità "svelata" del CM. A me non piace parlare con un marchio. Mi chiedo sempre chi ci sta dietro.
sì, anch'io, Claudia. ma magari sono rétro
Posta un commento